Sindaci contro Accam: "Solo 6 soci vogliono l'inceneritore"
Rescaldina, Canegrate, Castano, Magnago, Olgiate Olona, San Giorgio e Vanzaghello contro la chiusura nel 2027
Sindaci contro Accam: la battaglia di Rescaldina, Canegrate, Castano Primo, Magnago, San Giorgio e Vanzaghello.
Sindaci contro Accam, la protesta
Si fanno sentire i Comuni di Rescaldina, Canegrate, Castano Primo, Magnago, Olgiate Olona, San Giorgio su Legnano e Vanzaghello. Ribadendo il loro no alla proroga della chiusura dell’inceneritore di Borsano al 2027 anzichè, come si era deciso precedentemente, nel 2021. “Hanno i numeri (pochi) ma non la ragione. Soltanto 6 soci su 27 scelgono di bruciare i rifiuti fino al 2027” dichiarano i 7 sindaci.
La vicenda
“L’assemblea dei soci nel 2015 – ricordano i primi cittadini dei 7 Comuni in rivolta – delibera la chiusura dei forni entro il dicembre 2017, poi cambiarono le Amministrazioni dei tre soci più rilevanti e, con la minaccia di un possibile default, nell’ottobre 2016 si votò per la chiusura dei forni non oltre il dicembre 2021. Tale scelta era ampiamente supportata dal business plan che certificava che il mantenimento in bonis fino al 2021 e un raggiungimento dell’utile a partire dal 2019. Tale business plan fu approvato anche dai soci che oggi hanno votato per il 2027. Pertanto non è corretto affermare che i soci non avevano le idee chiare o cambiavano sempre opinione: in realtà i soci si erano basati su un business plan che poi, a posteriori, non è stato portato a compimento. E oggi si ripete la stessa musica di due anni fa: o si allunga il periodo di attività dell’inceneritore o si minaccia il default”.
L’analisi dei costi
“Ma guardiamo cosa è successo in questi anni per i costi aziendali – proseguono i primi cittadini -: da anni sostenevamo che il contratto con la ditta che opera sull’impianto era assolutamente sconveniente per Accam e ci veniva risposto che invece era favorevole, adesso il nuovo business plan certifica che ogni anno vengono corrisposti a questa ditta 6 milioni mentre il costo reale è di soli 2 milioni. Quattro milioni ogni anno di ‘plusvalore’ ceduti a terzi e sottratti alla redditività di Accam; alcuni soci hanno ricevuto un rilievo della Corte dei Conti che evidenzia, tra l’altro, ‘l’eccessivo costo medio del personale dipendente (nel 2015) di 64,5mila euro. Il costo medio è stato già superato nel 2016 (67.5mila euro) e ampiamente superato nel 2017 con un costo medio di 74,75mila euro. Abbiamo appena visto come gli extra costi (4 milioni più mezzo milione di costo del lavoro) siano una montagna rispetto alle briciole del mancato fatturato causato da alcuni soci che non conferiscono tutte le frazioni. E poi la fondamentale questione In house: alcune esperti del settore considerano che già adesso Accam non sia più ‘in house’ mentre a settembre è stata votata, solo dai soci di maggioranza, una delibera che permette all’azienda di autoconsiderarsi ‘in houseì purchè con un fatturato dei soci maggioritario rispetto ai non soci ossia 51/49 anzichè 80/20 come previsto dalla legge. Ma allora perchè il Cda non si attiva per andare a recuperare sul mercato quote di prodotti da smaltire che sicuramente avrebbero ricavi più remunerativi? Mentre se non fosse in house è ovvio che i Comuni non possano conferire senza una gara pubblica”.
La polemica sul voto
“Il nuovo business plan – concludono i sette Comuni – presenta decine di importanti aspetti critici che sono stati evidenziati nell’assemblea ma la volontà dei tre Comuni più rilevanti è stata predominante: hanno votato a favore del proseguimento fino al 2027 però solo 6 Comuni su 27. Ma non finisce qui: scommettiamo che entro un paio di anni i soci saranno chiamati a rivedere il business plan perchè ‘è cambiata la situazione’ e bisognerà spostare ancora in là la chiusura dei forni? Gli alibi sono finiti: siamo convinti che la ragione e il futuro siano dalla nostra parte e che la vicenda Accam sia tutt’altro che conclusa”.
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