Sanità

Rotondi (Pd): "E' Natale, che fine ha fatto l'ospedale di Saronno?"

Il consigliere: "L'arrivo di due Case della Comunità non sia un palliativo o una scusa per declassare l'Ospedale"

Rotondi (Pd): "E' Natale, che fine ha fatto l'ospedale di Saronno?"
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Il consigliere del Partito Democratico Mauro Rotondi sa bene cosa chiedere a Babbo Natale: qualche novità in più sul futuro dell'Ospedale di Saronno, che dopo tante rassicurazioni e promesse, petizioni, commissioni, comunicati stampa e annunci pare sempre nella stessa situazione. Di limbo.

Rotondi: ""Che fine ha fatto l'ospedale di Saronno?"

Col Natale alle porte una domanda sorge spontanea: che fine ha fatto l’Ospedale di Saronno? Da un po’ non si sa nulla e la situazione preoccupa i cittadini. Da tempo l’Ospedale sembra uno degli agnelli sacrificali immolati in nome della liberalizzazione della sanità, costretto a pagare il prezzo più alto insieme ad altri presidi medio-piccoli in Lombardia.

Comitati, firme portate in Regione in scatoloni, tavoli tecnici, tavoli allargati, commissioni e quant’altro: a nulla sono serviti gli sforzi finora profusi. Poche speranze arrivano anche dalla riforma della Legge 23 in corso al Pirellone riguardante il sistema sanitario lombardo la quale prosegue sulle orme delle Giunte Formigoni e Maroni. Si introdurrà la Medicina di territorio attraverso le Case di Comunità, piccole strutture di integrazione dei servizi socio sanitari (diagnostica e medicina di base) ma ciò rischia di essere un palliativo: per le Case della Comunità si riscuoteranno infatti 2,5 miliardi di euro messi sul piatto dal Governo ma in numero limitato rispetto ai veri bisogni. Nel solo territorio di Ats Insubria, per esempio, sarebbero infatti necessarie 73 case della comunità, in realtà se ne apriranno solo 19. E senza i fondi del Governo centrale non ci sarebbe nulla.

La crisi parte da lontano, dagli anni novanta ad oggi il Fondo Sanitario Nazionale ha quasi dimezzato i trasferimenti su indicazione di governi di destra e di sinistra, i numeri di posti letto e addetti ai lavori hanno subito la stessa sorte. Tra le Regioni italiane la Lombardia ha pagato il prezzo più alto: nel nome dell’efficienza si sono erosi i fondi disponibili diminuendo le strutture pubbliche; i tagli di strutture ospedaliere hanno spinto i cittadini nelle mani della sanità privata a svantaggio della medicina di prevenzione sul territorio.

Oggi pubblico e privato concorrono nell’offerta di servizi quando in realtà si dovrebbe perseguire l’obiettivo dell’integrazione sotto le direttive del pubblico. La situazione ha fatto esplodere le liste d’attesa, oggi un vero problema: occorrono oltre 400 giorni per alcuni esami diagnostici. E qui si crea il divario: chi ha i soldi prenota subito pagando di tasca propria, gli altri aspettano. Così il sistema diventa iniquo e il diritto alla salute compresso.

Noi lombardi spendiamo il triplo in prestazioni private rispetto a tutti gli altri italiani, questa sarebbe l’eccellenza lombarda?

Abbiamo il paradosso di avere gli Ospedali lombardi tra i migliori al mondo e personale medico di alto valore ma non vi è nessuna visione strategica del territorio, incapacità di costruire vere vocazioni ospedaliere, disattenzione per i fragili, prevenzione inesistente. Certo, pochi e grandi ospedali sono di elevata qualità ma non basta a tutelare la vita delle persone.

Alcuni dati emblematici: oggi un lombardo su tre è malato cronico (diabetico, iperteso, cardiopatico), sono aumentate le malattie senili, si sono persi importanti servizi come psichiatria, infermieristica di prossimità, consultori, cura delle tossicodipendenze, è mancato un piano di prevenzione contro le malattie infettive. Una situazione peggiorata negli anni, il Covid ha solo messo a nudo il sistema.

Le Ats, chiamate a fare programmazione, hanno dimostrato la loro inadeguatezza. La sanità lombarda avrebbe oggi bisogno di professionisti, da aggiungersi a quelli già esistenti, e di programmazione. Due assessori e tre direttori generali del Welfare cambiati in due anni sono un indice di come è funzionata la macchina organizzativa. Perché le leggi possono essere valide, ma poi devono camminare grazie alle gambe delle persone.

La programmazione della Casa della Comunità a Saronno, annunciata in questi giorni dalla Regione, non deve trarre in inganno: Ben venga la Casa della Comunità ma Casa della Comunità non significa Ospedale. Ma se per avere la Cdc occorre il declassamento definitivo dell’Ospedale non va bene. Oggi lo ribadiamo oggi ancor più forte: l’Ospedale rimanga di I livello, si ripristino tutti i reparti tolti, il diritto alla salute in Lombardia con al centro la persona sia il centro della riforma. A questo non ci rassegneremo.

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