Lega condannata: "I richiedenti asilo non sono clandestini"
Il giudice: "Violata la dignità dei cittadini stranieri creando intorno a loro un clima ostile, umiliante e offensivo".
Lega condannata, confermata in appello la sentenza contro il partito che nel 2016 aveva affisso a Saronno i manifesti contro l'arrivo di 32 richiedenti asilo.
Lega condannata: "Non è libera manifestazione del pensiero"
Reato di discriminazione razziale e non manifestazione del pensiero politico, i richiedenti asilo non sono clandestini. La Corte d'Appello ha confermato la sentenza di condanna per i manifesti del Carroccio a Saronno. Il partito del sindaco Alessandro Fagioli aveva manifestato la propria contrarietà ad accogliere 32 richiedenti asilo che sarebbero arrivati da lì a poco su disposizione dell'allora Ministro dell'Interno Angelino Alfano, con dei manifesti in cui, dicendo che "Saronno non vuole i clandestini", equiparava i richiedenti a degli immigrati irregolari.
La denuncia, la prima condanna, il ricorso
Per la Lega di Saronno, profughi o richiedenti asilo erano clandestini, cioè immigrati irregolari. Dopo l'affissione dei manifesti era subito arrivata la denuncia delle associazioni Asgi (Studi Giuridici sull'Immigrazione) e Naga, e da questa nel 2017 la condanna in primo grado per la Lega Nord al risarcimento di 5mila euro per ogni associazione. Non mancò il ricorso di via Bellerio, che però ha portato alla conferma della sentenza.
"Violata la dignità e la Costituzione"
Il dispositivo del giudice d'appello Maria Cristina Canziani non lascia spazi a interpretazioni:
"Come ritenuto dal giudice di primo grado, la definizione di 'clandestini' nei cartelli affissi dalla Lega Nord a Saronno -ancor più in quanto collegata alla presentazione dei 32 richiedenti asilo come usurpatori, 'per vitto alloggio' e non precisati 'vizi', di risorse economiche ai danni degli abitanti del Comune, i quali sarebbero costretti a subire, stante l''invasione', l'incremento delle tasse e la riduzione delle pensioni-integra gli estremi della 'molestia' poiché, anche prescindendo dallo 'scopo', ha indubbiamente l''effetto' di violare la dignità dei predetti cittadini stranieri e di creare intorno a loro, nel contesto territoriale in cui sono inseriti, un clima ostile (in quanto volto a diffondere malevolenza ed a provocare esclusione dalla compagine sociale), umiliante ed offensivo, per motivi di razza, origine etnica e nazionalità".
Inoltre, scartata l'ipotesi che i manifesti potessero essere considerati la manifestazione di un libero pensiero politico, seppur forte:
"La tutela contro gli atti di discriminazione - scrive il giudice - si fonda essenzialmente sui principi fondamentali della Costituzione in tema di diritti inviolabili della persona, di adempimento dei doveri di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), di pari dignità sociale e di eguaglianza davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza e di lingua, di opinioni politiche e di condizioni personali e sociali (art. 3 Cost.). Il divieto di discriminazione è inoltre sancito dall'art. 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Anche l'espressione di un'opinione "politica', pur rappresentando estrinsecazione del diritto costituzionalmente garantito alla libera manifestazione del pensiero, deve essere necessariamente bilanciata con il rispetto e la tutela della dignità delle persone alle quali è fatto riferimento, il che nel caso in esame non è avvenuto, risultando sussistente la responsabilità per la ravvisata condotta discriminatoria".
A commentare la sentenza, il deputato e segretario nazionale della Lega Lombarda Paolo Grimoldi.