L'amarezza di Bergamo

Infermieri: "Dopo il Covid la gente è tornata più arrogante di prima"

Il racconto di Laura Mangili. "La paura aveva portato l’umiltà. Oggi in tanti hanno ricominciato a pretendere, a lamentarsi, a correre come se si dovesse recuperare qualcosa. Ma siamo tutti vittime del Coronavirus"

Infermieri: "Dopo il Covid la gente è tornata più arrogante di prima"
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«No, io non sono una sindacalista, non ho mai fatto la sindacalista. Mi sto impegnando come altri per cercare di riunirci tutti, come infermieri, per cercare di ottenere quello che è giusto, il riconoscimento importante per tutti noi». Laura Mangili è infermiera professionale, per la verità spiega che la specifica “professionale” non è necessaria da quando si diventa infermieri solamente dopo avere ottenuto la laurea, cioè da una ventina d’anni. Ha lavorato agli Ospedali Riuniti di Bergamo, la zona più colpita dal Covid, oggi è infermiera dell’Adi, assistenza domiciliare. È un libero professionista.

Lei è stata tra i promotori della manifestazione degli infermieri in Piazza Vittorio Veneto, lunedì mattina. Come è andata?

«Siamo soddisfatti: era la prima volta in assoluto che gli infermieri scendevano in piazza, non è mai successo. Eravamo circa in centocinquanta, c’è chi è venuto anche con i figli. Un buon numero. E poi è andata come volevamo, in silenzio, senza slogan, senza megafono, senza creare caos».

Che cosa chiedete?

«Vogliamo creare un tavolo di trattativa comune, un coordinamento fra tutte le sigle sindacali e confrontarci con lo Stato per arrivare a un nuovo contratto».

Ma il contratto è stato firmato nel 2018 dopo tredici anni di vuoto.

«Sì, ma la sanità è divisa in due grandi comparti: i medici e tutti gli altri. Noi infermieri facciamo parte di “tutti gli altri”. E non siamo d’accordo».

Che cosa significa?

«Significa che noi infermieri (siamo tutti professionali), gli Oss (Operatori socio sanitari) e Ausiliari (quelli che si occupano della biancheria, del cibo, di sistemare il materiale) siamo trattati allo stesso modo. Poco importa che noi siamo laureati e che dobbiamo occuparci della cura medica del paziente. Ma addirittura siamo equiparati agli elettricisti, agli impiegati amministrativi, agli autisti… anche se facciamo lavori completamente diversi».

Quindi?

«Quindi vogliamo un contratto per gli infermieri».

La vicenda del Covid-19 vi ha aiutato?

«Ci ha aiutato a prendere coscienza della nostra importanza, del nostro lavoro. Siamo diventati eroi, ma noi non siamo eroi, lo abbiamo detto e ripetuto: siamo persone che hanno scelto un certo lavoro, che è di cura verso gli altri. E cerchiamo di farlo bene, anche pagando di persona. Tanti, tantissimi del personale sanitario si sono ammalati, ci sono stati anche diversi morti. Ci siamo resi conto ancora meglio di essere una categoria ben definita, che deve venire riconosciuta».

Ora la grande paura è passata.

«Sì, è passata e, se devo essere sincera, sono delusa. Avevo visto la gente cambiare, diventare umile, attenta a quello che si diceva, alleata dell’infermiere. Ma poi, giorno dopo giorno, ho visto rinascere la presunzione, la superbia. Di nuovo tutti a pretendere. E anche peggio di prima».

Davvero?

«Davvero. Perché adesso tutti hanno fretta, tutti pretendono, come se volessero venire risarciti dai due mesi di ferma, come se dovessero recuperare chissà cosa. Ma io dico che questi mesi li abbiamo persi e non è che li recuperiamo mettendoci a correre. E poi tutti sono di nuovo stressati, continuano a lamentarsi, ancora più di prima».

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