Milano

Trascinò ragazzina nell’incubo Blue Whale: 25enne condannata a Milano

Aveva contattato la vittima su Instagram sostenendo di essere uno dei "curatori" del gioco, indicandole e imponendole i gesti autolesionistici da compiere. A scoprire tutto, una giornalista.

Trascinò ragazzina nell’incubo Blue Whale: 25enne condannata a Milano
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Il primo e unico processo celebrato davanti al Tribunale di Milano nell’ambito della cosiddetta “Blue Whale Challenge” si è chiuso con una condanna a un anno e mezzo, con pena sospesa e non menzione, per una ragazza di 25 anni. Lo riportano i colleghi di Prima Milano.

Blue Whale: condannata una ragazza a Milano

Come raccontava Prima Monza già nel giugno di quattro anni fa, quattro i possibili episodi sui quali la Procura di Milano aveva aperto un’inchiesta.

L’imputata è stata ritenuta colpevole di atti persecutori e violenza privata aggravati, per essersi spacciata per “curatore” nell’ambito della cosiddetta “Blue Whale Challenge” e per aver costretto, tramite i social, una minorenne di Palermo a infliggersi alcuni tagli sul corpo e ad inviarle le foto, come primo step delle 50 prove di coraggio. A deciderlo, nella giornata di ieri, 19 maggio 2021, il giudice monocratico della nona sezione penale Angela Martone. Il processo è durato due anni.

Le indagini

Una giornalista aveva finto di essere una minorenne pronta alla ‘sfida’ e, attraverso i social, era entrata in contatto con una alunna delle scuole medie di Palermo, ai tempi 12enne, che aveva cominciato a “giocare” per davvero con l’imputata.

A quel punto la giornalista ha segnalato i fatti alle forze dell’ordine facendo partire l’indagine, coordinata dal pm di Milano Cristian Barilli. Secondo la ricostruzione degli inquirenti e degli investigatori della Polizia Postale, tra il maggio e il giugno del 2017, la ragazza – con un complice di origini russe allora 16enne – ha contattato la vittima mediante profili Instagram e Facebook come “curatorlady”, sostenendo di essere uno dei “curatori” del gioco, indicandole e imponendole i gesti autolesionistici da compiere.

La 25enne ha inoltre reiterato le “proprie minacce” e la propria “capacità intimidatoria” avvisando la 12enne di conoscere il suo “indirizzo IP di connessione”, cioè il luogo da cui si connetteva e quindi di poter “raggiungerla e di ucciderla qualora avesse interrotto la partecipazione alla ‘Blue Whale Challenge'”.

Le sfide shock

Il gioco dell’orrore nato in Russia prevede una serie di prove, veri e propri riti autolesionistici, e si chiude con il suicidio della vittima. I giocatori sono di età compresa tra i 10 ed i 17 anni, e lo schema ricalca molte altre sfide, che in certi casi hanno avuto anche esiti mortali, ingaggiate tramite social a danno dei minori.

La denuncia de Le Iene

A portare alla ribalta nazionale il fenomeno del Blue Whale era stato il programma televisivo “Le Iene” che, a seguito dell’enorme risonanza mediatica del servizio sul tema, era stato indagato dalla Procura di Milano per “diffusione di notizie false e tendenziose atte a turbare l’ordine pubblico”, in merito a un servizio avaro di riscontri concreti. Successivamente il gip ha pronunciato sentenza di proscioglimento. Nonostante in Italia sia ancora fortemente dibattuta la concreta minaccia del fenomeno Blue Whale sui minori, al punto che molte fonte autorevoli lo bollano come una bufala gonfiata mediaticamente ad arte, ciò che invece è certo è il diffondersi via social di sfide autolesionistiche che si rivolgono alla platea di bambini e semiadolescenti.

Blackout challenge

Già, perché il fenomeno delle sfide estreme a danno di minori è tutt’altro che trascurabile, come confermano recenti tragici fatti di cronaca. Come racconta Prima La Martesana aveva sconvolto il Paese, nel 2018, il ritrovamento – in un appartamento del quartiere Lambrate a Milano – del corpo senza vita del 14enne Igor Maj: soffocato con una corda da roccia, per un gioco estremo finito nel peggiore dei modi. La Procura della Repubblica di Milano, che aveva aperto un’inchiesta, ha indagato per istigazione al suicidio un 24enne di origine indiana che, stando alle indagini della Polizia postale e coordinate sempre dal pm Cristian Barilli, avrebbe prodotto e caricato l’ormai noto video, da quasi un milione di visualizzazioni su Youtube, su “cinque sfide pericolosissime”, tra cui l’auto-soffocamento (detto blackout challenge), guardato dall’adolescente poco prima di morire.

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