Violenza

«Mia cugina è stata uccisa: denunciate, non siete sole», la terribile storia della 16enne Antonella

Una storia tremenda che la cugina della vittima, capitano della contrada Torre di Rescaldina, ha voluto raccontare perchè sia da esempio di cosa può succedere se non si denuncia

«Mia cugina è stata uccisa: denunciate, non siete sole», la terribile storia della 16enne Antonella
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«Sono Antonella. Non mi adatto più. Io volo. E sono libera». La storia di Antonella Butera, 16enne di origine siciliana, si chiude e si apre con la stessa immagine. L’epilogo è quello della morte, perché Antonella viene brutalmente assassinata dal compagno e dalla sua amante il 15 aprile del 1997 e poi scaraventata giù da un ponte. L’atto del precipitare la riporta all’inizio di tutto, quando era ancora una bambina e si svegliava nel cuore della notte circondata dai genitori e dai tanti fratelli.

«Mia cugina è stata uccisa: denunciate, non siete sole», la terribile storia della 16enne Antonella

È Antonella a raccontare la sua storia tramite un monologo interiore scritto per lei da Cristina Pezzoni su un’idea della cugina Alessandra Butera, capitano della contrada Torre di Rescaldina. Tutto si trasforma in un video, pubblicato proprio mercoledì in occasione della Giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che rientra in un progetto più ampio iniziato a settembre con l’inaugurazione del giardino delle donne. Ad accompagnare la voce narrante, quella di Giuliana Barlocco, ci sono le immagini di tante «scarpette rosse», un’iniziativa promossa dalla contrada.

La storia di Antonella

Antonella nasce a Roccapalumba, in provincia di Palermo. Cresce in un contesto sociale fragile e, a 5 anni, gli assistenti sociali la portano, insieme ad altri tre fratelli, in un collegio. A 16 anni incontra Ignazio La Ganga, 30enne di Nicosia; «Anche lì mi sono sentita volare, senza dormire nemmeno. Le chiamano “le farfalle nello stomaco”». Vanno a vivere insieme e, anche questa volta, Antonella sopporta e si adatta a ciò che la vita le offre: «Mi facevo bastare la nostra casa e quei quattro spicci che mi allungava dal sussidio di disoccupazione. E mi facevo bastare il fatto di smettere di sanguinare, quando mi picchiava, e di vedere le botte sbiadire». A casa non può tornare, sarebbe un peso, una bocca in più da sfamare; il fratello Rosolino, con cui si confida, scompare poi misteriosamente.

Adattarsi diventa poi impossibile con l’arrivo dell’ex compagna di La Ganga, Maddalena Glorioso, 20enne, già madre di tre figli. I due riprendono la loro relazione e Antonella diventa una domestica, una schiava, una presenza troppo ingombrante per i due amanti, che decidono di farla fuori. «Non è bastato strangolarmi, e neppure soffocarmi con un cuscino, e nemmeno prendermi a bastonate. Mi ha aperto la gola da parte a parte. Si è fatto passare dall’altra un sacchetto di plastica e me l’ha infilato sulla testa».

Il corpo di Antonella verrà ritrovato 10 giorni dopo, il 25 aprile. È stata lanciata ancora viva come un rifiuto da un ponte e costretta a una morte lenta e crudele. Il suo corpo, barbaramente violentato, è stato martoriato e sfigurato dall’assalto di cani randagi. E lei inizia a volare, «in questura, ad assistere quando l’altra crolla e confessa che mi hanno uccisa insieme».

La cugina Alessandra: "Nessuna è sola"

Alessandra è venuta a conoscenza del femminicidio della cugina attraverso una puntata di «Chi l’ha visto?».

«Parlare, per i miei zii, era una vergogna – spiega Alessandra – Quando hanno riportato il corpo di Antonella a casa, mia mamma era al telefono con la sua; ho sentito delle urla che non dimenticherò mai più. La prima estate che siamo andati a trovarli, mio zio, che mi aveva vista arrivare da lontano, è corso ad abbracciarmi in lacrime perché gli ricordavo molto sua figlia».

Nonostante il dolore, Alessandra crede sia invece fondamentale raccontare la storia di Antonella «perché potrebbe aiutare tante altre donne che vivono situazioni simili – continua – Anche nella vita di tutti i giorni, continuiamo a essere vittime di discriminazioni; pensiamo al mondo del lavoro dove avere figli è considerato un difetto. Noi donne tendiamo spesso a colpevolizzarci ma ogni forma di violenza, dalla fisica alla psicologica, non è giustificabile. Amore significa stare bene e non sentirsi umiliate; meritate di essere felici e meritate uomini che vi trattino con cura e rispetto. Non dovete avere paura di reagire e denunciare; sul territorio ci sono i centri antiviolenza di Filo Rosa Auser, il più vicino a Legnano, che garantiscono la massima riservatezza e ogni tipo di supporto. Nessuna di voi è sola».

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