Emergenza

Lettera di un'educatrice ai tempi del coronavirus

Lorena Maistrello, educatrice professionale di Gerenzano, racconta il suo stato d'animo con una poesia e uno scritto.

Lettera di un'educatrice ai tempi del coronavirus
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Lorena Maistrello, educatrice professionale di Gerenzano che sta terminando la laurea magistrale in Scienze pedagogiche all'Università Bicocca di Milano e volontaria del Corpo musicale Santa Cecilia, ha scritto una lettera per mettere nero su bianco la sua storia e il suo pensiero in questo duro momento di emergenza sanitaria. "La mia lettera nasce senza un destinatario preciso, nasce con il desiderio di condividere, di aprire varchi, possibilità. Nasce da una foto che ho scattato in questi giorni, da cui sono emerse parole sottoforma di poesia, che successivamente sono divenute lettera".

Lettera di un'educatrice ai tempi del coronavirus

Natura morta 2020

Natura umana, dis-umana
Credo in un solo credo, quello del guadagno!
Guadagno su perdite di vita.
Vita?
Natura morta 2020
Quanti infetti da covid-19? Quanti non rilevabili a tampone?
Quante statistiche sommerse? Quanti sommersi?
Immersi nella natura morta di umanità estinta.
Oltre i confini dell’immaginazione più macabra: perché l’accredito di 5 euro netti
è togliere dignità a chi li riceve!
Eppur si muore, di virus che soffoca i polmoni
Eppur si piange, davanti a bare tutte uguali
Eppur si muore, lenti, come le goccioline di fisiologica che scorre in tubicini e
Arriva alle vene di chi lotta e poi magari muore lo stesso.
Eppur si muore, anche privati di dignità!
Natura morta 2020 su fondo di educatrice professionale.

Scelgo di scrivere questa lettera senza sapere di preciso a chi destinarla, senza sapere ancora chi la leggerà; accade perché in questo momento drammatico, triste e delicato per il nostro tempo, io non appartengo a nessuna categoria. Ora, non ho mai aspirato né bramato l’appartenere ad una o ad un’altra categoria, ma capite che questo porta all’impossibilità ora, di dar voce al mio pensiero. In un mondo social, scelgo carta e penna: deformazione o formazione. Scelgo carta e penna e scrivo senza aver un destinatario specifico. La mia non è una forma di protesta, né una provocazione; non vuol essere un
modo per cercare capri espiatori o dar la caccia alle streghe, sono una donna le streghe le ho sempre
amate! La mia è una storia, che forse al di fuori delle mura della quarantena in cui ci troviamo tutti costretti, ha storie simili che non sanno di esserlo. Scrivo dunque per darle una forma, per darmi forma, per darmi luogo, tempo e spazio. Scrivo perché vorrei dire che, fino a febbraio ero educatrice professionale, lo sono dal 2003 circa. La mia è una professione del sociale, riconosciuta da un titolo di laurea; a novembre (forse) né avrò un secondo di titolo, sarò pedagogista: anche questa è una professione del sociale. Non è con ironia che scrivo queste parole, è che in questi giorni sto continuando a ripetermele a voce alta: a volte con un fare calmo, ragionevole e meditativo, a volte masticandoci insieme un bel po’ di rabbia, a volte rigurgitandole fuori come in un flusso di coscienza che Joyce avrebbe gradito. Le pronuncio ad alta voce per renderle reali, perché nulla è improvvisamente più reale, neppure il mio lavoro. Nella mia professione in questi anni ho avuto la fortuna, l’onore e l’onere di incontrare tante storie, dentro tante umanità diverse tra loro; alcune etichettate come fragili ( come se ne esistessero di non fragili) che poi si sono trasformate, che grazie al mio lavoro ho aiutato a trasformarsi e che mi hanno trasformata. Ho incontrato, parlato, ascoltato, giocato, scritto di tante e con tante storie, di tante e con tante persone. Fino a febbraio collaboravo ad un progetto sperimentale di dopo scuola fuori dalle mura della scuola, con un’associazione di promozione sociale e solidarietà famigliare; avevamo un gruppo di bambini e ragazzi, un gruppo di famiglie, io collaboravo nel ruolo di educatrice professionale, quello che faccio dal 2003 circa. Il coronavirus toglie l’aria a chi ne viene contagiato; il coronavirus toglie l’aria anche se non ne si è direttamente colpiti. Mi sento così, senza aria, in affanno; senza poter dire né condividere il mio sentire : mi sento fragile e ai margini come le tante persone che nella mia professione ho incontrato in questi anni. Sospesa in un NON spazio, in un NON luogo in attesa di sapere che forma prenderò, o forse NON prenderò dopo tutto questo. Il mio contratto di collaborazione occasionale, l’ultimo di una serie lunga e variegata, oggi mi rende al pari di chi lavorava a nero: forse tra poco con il REM (reddito di emergenza) potrò rientrare in questa fascia, avrò una categoria a cui appartenere, una categoria indefinita che raggruppa tanti senza dar voce né dignità a nessuno! Nella mia testa passano tanti pensieri, scorrono come in un film tante immagini; girano certi giorni così vorticosamente da farmi vacillare, mi disorientano tanto da non saper più chi sono, tanto da cercare uno specchio per guardarmi e riconoscermi in volto. È una sensazione devastante, tra l’impotenza e l’estrema consapevolezza, una sensazione che ferisce, mi ferisce, mi fa piangere e stare ore in cerca di soluzioni creative, alternative, o a cercare forme nuove. Nella mia professione ho imparato a stare. Nella mia professione ho imparato ad attendere, le risposte arrivano sempre col tempo, sulla lunga distanza: questa è come altre, una professione di cura, e la cura implica pazienza, attesa, rispetto. In questo tempo di chiusure, di lockdown, perché dirlo in inglese ci fa sentire più competenti, credo sia importante aprire! Aprire, creare varchi, creare possibilità di incontro di dialogo. Canali di comunicazione per permettere a tutti di dar voce ai propri vissuti, ai propri pensieri, non in una privata ed individuale riabilitazione personale o ad personam. Aprire per creare o ri-creare collettività, comunità di pratiche nuove, pensate, ri-pensate  insieme. Questa lettera non ha destinatario anche perché i destinatari possono, potrebbero, potranno
essere molteplici. La mia voglia di metter per iscritto il mio pensiero e condividerlo è nata da una foto che ho scattato da casa in questi giorni (la foto sopra) un dettaglio che ho titolato “natura morta 2020”, l’incipit della mia lettera. Nella foto c’è un dettaglio vivo, una foglia verde: la Natura viva che r-esiste ancora!
Lorena

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