In Italia i primi sette trapianti al mondo da donatori Covid, anche grazie al professor Grossi
A marzo gli organi dei pazienti infettati dal coronavirus erano stati classificati come "non utilizzabili". Ora, dopo l'impegno del professor Grossi, si contano le prime sette storie a lieto fine
Non è la prima volta che il Professor Paolo Grossi, Direttore delle Malattie Infettive e Tropicali dell'ASST Sette Laghi e docente all'Università dell'Insubria, permette alla pratica dei trapianti di organo di aprirsi verso nuove frontiere, così da offrire una nuova vita a tantissimi pazienti colpiti da gravi malattie.
E' già accaduto per i trapianti da donatore HIV+ a ricevente HIV+, in Italia già eseguiti con successo da qualche anno, ora è la volta dei trapianti da donatore positivo al SARS-CoV-2 a ricevente guarito dalla malattia denominata COVID-19.
Trapianti da donatori Covid, in Italia i primi sette al mondo
Se in Italia ne sono stati già eseguiti sette, i primi sette al mondo, e tutti con successo, un contributo determinante è stato ancora una volta offerto dal professor Grossi, nel suo ruolo di Second Opinion infettivologica per il Centro Nazionale Trapianti. Un ruolo che lo porta a collaborare anche con il Consiglio d'Europa e l'European Center for Disease Control (ECDC) nella stesura delle linee guida per la qualità e la sicurezza nell'impiego degli organi per il trapianto.
Da donatore positivo a ricevente già guarito
"Il dibattito si è aperto fin dalla scorsa primavera - spiega Grossi - Nelle linee guida redatte a marzo dall'ECDC si definivano 'non utilizzabili' per il trapianto gli organi dei donatori positivi al Sars CoV-2. Tale posizione è stata ribadita nelle successive edizioni delle linee guida.
Si sono però recentemente presentati diversi casi di donatori, anche molto giovani, vittime di traumi, che sono stati riconosciuti positivi al SARS-CoV-2, ancorché asintomatici. I loro organi sarebbero stati preziosi per i pazienti in lista che avevano già sviluppato e superato la malattia COVID-19. Essendo guariti, infatti, i potenziali riceventi avevano anche gli anticorpi che li avrebbero teoricamente protetti dallo sviluppare nuovamente la malattia.
Il rischio, quindi, che un nuovo organo in cui fosse stato presente il Coronavirus potesse comportare un nuovo insorgere della malattia era, sia pure in teoria, da ritenere altamente improbabile. Ho ritenuto che fosse il caso di provare, creando così una casistica che potesse aprire nuove opportunità ai pazienti in attesa di un nuovo organo in tutto il mondo. Ho quindi espresso la mia opinione, facendola valere nelle sedi opportune, e ho trovato dei chirurghi, prima a Torino, poi a Palermo e a Roma disposti a esplorare questa nuova frontiera. E così oggi siamo qui a raccontare sette storie a lieto fine".
"Una svolta merito di Grossi"
Il ruolo del professor Grossi è stato riconosciuto in particolare dal professor Renato Romagnoli, capo dell'Equipe dell'Ospedale Molinette di Torino che nelle ultime tre settimane ha eseguito cinque dei primi sette trapianti di fegato da donatori positivi al Sars CoV-2.
"La nostra fortuna - ha dichiarato Romagnoli - è che in Italia abbiamo persone che ci invidiano: in questo caso il professor Grossi, ordinario di infettivologia a Varese e infettivologo di riferimento italiano e mondiale per la trapiantologia. Da decenni si occupa di infezioni nei trapianti, e grazie al suo impatto culturale c'è stata questa svolta".
I pazienti che hanno ricevuto il fegato nuovo sono stati adeguatamente informati sulle peculiarità di questi trapianti e sono già stati tutti dimessi in buone condizioni. Nessuno di loro ha sviluppato nuovamente la malattia da SARS-CoV-2.
L'ECDC ha recepito i risultati di questi primi sette casi al mondo introducendo un paragrafo dedicato nella nuova versione delle linee guida per la qualità e la sicurezza dell'impiego degli organi nei trapianti.