Femminicidio

Bergamo, uccisa a calci e pugni dal compagno. La famiglia della donna lo aveva coperto

Solo settimane dopo l'omidicio lo zio ha rotto il silenzio e l'omertà sorretti dalla paura di ritorsioni da parte dell'assassino

Bergamo, uccisa a calci e pugni dal compagno. La famiglia della donna lo aveva coperto
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Nella notte fra il 30 e il 31 marzo, la 34enne Bergamasca Viviana Castiglioni era stata uccisa a calci e pugni. Solo oggi la Polizia è riuscita a inchiodare per l'omicidio il compagno Cristian Michele Locatelli, per settimane protetto dalla cortina di silenzio e terrore con cui aveva plagiato sia la compagna sia la famiglia di lei.

Sei mesi di violenze

La coppia viveva insieme da sei mesi, al primo piano di una bifamigliare in cui risiedevano anche lo zio di lei, al pianterreno, e la madre, in casa con la coppia. Locatelli, pregiudicato con diversi precedenti, aveva terrorizzato e assoggettato non solo la compagna ma anche i suoi famigliari. Quella notte, fra il 30 e il 31 marzo, Locatelli aggredisce per l'ennesima molta Viviana Castiglioni, accusandola di tradirlo e di frequentare un altro uomo. Nulla di vero, come appurato dalle indagini, dato che la vittima e il presunto amante non si frequentavano più da almeno 7 anni. Lui non sente ragioni e la massacra di botte, prima nel loro appartamento poi in quello dello zio di lei al piano di sotto.

Un colpo fatale alla nuca

L'aggressione avviene sotto gli occhi impotenti dai famigliari. Almeno mezz'ora di botte. Viviana finisce a terra, lui continua a colpirla: almeno cinque violenti calci la raggiungono all'addome. Il colpo fatale alla nuca, forse un pugno, che le fa perdere i sensi a causa di un'emorragia subdurale.

L’allarme un’ora dopo: “E’ caduta dalle scale”

L'aggressione dovrebbe essere avvenuta non più tardi di mezzanotte. La prima chiamata al 118, da parte della madre, è poco dopo l'1. La donna riferisce all'operatore del 118 che la figlia era caduta dalle scale, versione confermata anche da Locatelli e dallo zio.

Viviana arriva in Pronto Soccorso in condizioni gravissime. Già al primo sguardo i medici capiscono che quelle ferite non potevano essere state causate da una caduta, anche per via dell'ipotermia in cui si trova la ragazza, rimasta per più di un'ora sul pavimento. Nonostante il Pronto Soccorso sia allo stremo a causa dell'emergenza coronavirus, la segnalazione sul possibile pestaggio dai medici arriva alla Polizia, dando inizio alle indagini. Nel frattempo però Viviana finisce in coma irreversibile e dopo quasi una settimana il 6 aprila muore.

Il depistaggio: "Crematela, era un suo desiderio"

I primi sospetti degli inquirenti cadono sul convivente. Che ovviamente non collabora: la Polizia ha ricostruito una ragionata e lucida strategia di insabbiamento e di depistaggio. Ad esempio, Locatelli insiste fin dalle prime ore dopo l’affidamento della salma alla famiglia, perché Viviana venga cremata. "Era un suo desiderio" ha insistito a lungo il carnefice. Solo l’intervenuto della magistratura ha impedito che il corpo venisse distrutto e anzi venisse sottoposto ad autopsia, che conferma la causa violenta del decesso. Tentativi di depistaggio confermati anche da alcune intercettazioni telefoniche e ambientali. A smentire la sua versione anche le tracce di sangue rilevate dal Luminol 8 giorni dopo l'aggressione, che partivano dall'appertamento di Viviana fino alla casa dello zio.

La finta confessione

Nel tentativo di farla franca, Locatelli tre giorni dopo la morte inscena anche la falsa confessione di un falso assassino. Era stato convocato in Questura per un interrogatorio, lui chiama il 112 dicendo di aver ucciso una donna  in via Maironi dal Ponte (quella dove abitava Viviana). Cerca di inserire un terzo, ignoto, assassino nelle indagini. Sul posto si precipitano diverse auto della Polizia, ma ovviamente non c’è nulla.

Nel frattempo, la madre di lei continua a confermare la versione dell'omicida mentre lo zio pian piano si apre. Dopo alcune settimane rompe il silenzio e racconta tutto.

Il compagno, arrestato, continua a non rispondere e a non confessare. Ora è in carcere a Bergamo con l’accusa di omicidio pluriaggravato. Anche la madre risulta indagata per le dichiarazioni rese in seguito ai fatti. Secondo lo zio non era nell’appartamento al momento culminante dell’aggressione, ma nella prima fase dell’aggressione, sì. Bisognerà capire se, come e perché, a sua volta, ha deciso di coprire il genero. E se anche lei è stata minacciata o picchiata dal presunto assassino della figlia.

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