Alfonso Figini: l’ex galeotto di Ispra diventato scrittore
"A 33 anni sono entrato in carcere e sono morto come Cristo".
In carcere con l’ergastolo per un duplice omicidio dal 1999, nel 2014 la condizionale per buona condotta. Martedì il tribunale ha ufficializzato l’estinzione della pena e Alfonso Figini è un uomo libero, laureato e scrittore.
Alfonso Figini: l’ex galeotto scrittore
Da martedì 19 marzo è ufficialmente un uomo libero, Alfonso Figini a 61 anni ha estinto la sua pena. Ha trascorso 19 anni in carcere, come mandante di due omicidi di cui si è sempre professato innocente, ma non hai mai negato il suo passato turbolento. Ha commesso furti in grosse gioiellerie o ai danni del monopolio di Stato in Lussemburgo dove ha vissuto la prima parte della sua vita, poi si è dedicato al traffico di droga in Perù e per questo non si è mai considerato una persona senza colpe.
Insomma una vita turbolenta quella di Figini che ha subito una svolta dopo qualche anno di carcere, quando ha iniziato a studiare, prendendo prima il diploma e poi la laurea in Ingegneria e iniziando a lavorare proprio per quella Università di Firenze dove ha studiato mentre si trovava nel carcere della Dogaia a Prato.
Alfonso sulla sua vita, ha scritto un libro “Lupo Alpha” pubblicato dalla casa editrice Attucci di Carmignano.
La biografia
Figini è nato in Francia, figlio di immigrati italiani che venivano da Ispra, in provincia di Varese. Poi quando era ancora piccolo è andato a vivere insieme ai genitori e alla sorella in Lussemburgo.
Qui i genitori avevano aperto una pensione, la prima in assoluto nel Granducato, che ospitava tutti immigrati, soprattutto italiani.
Da lì negli anni i Figini sono riusciti ad aprire ristoranti che ha permesso di vivere in maniera agiata a tutta la famiglia per molti anni.
Crescendo Alfonso si è appassionato ai motori e così invece di seguire le orme dei genitori ha pensato di aprire una concessionaria nel Lussemburgo.
«Nei mesi invernali chiudevo l’attività – ha ricordato lo stesso Figini intervistato a pochi giorni dall’estinzione della pena ufficializzata dal tribunale di Prato – e cominciavo a viaggiare in giro per il mondo. Mi servivo di una serie di viaggi omaggio che mi offrivano le aziende con cui lavoravo per le moto. Al tempo stesso in Lussemburgo avevo una serie di amici a cui piacevano le moto, la velocità. Le conoscenze giuste insomma per iniziare a mettere a segno una serie di furti piuttosto grossi».
Gli anni di delinquenza
Una banda che insieme era diventata il terrore del Granducato.
«Poi grazie ai viaggi – ha continuato Figini – in Perù ho conosciuto quello che è diventato il mio compare nel traffico di droga in Perù».
Alfonso Figini è piuttosto chiaro però riguardo a questo periodo della sua vita:
«Non rinnego niente di ciò che ho fatto e non do la colpa alla giovane età. Ero già maggiorenne e sapevo ciò che facevo. Avevo voglia di trasgressione, volevo sempre dimostrare che ero il migliore in tutto e che nessuno mi poteva prendere. Non era incoscienza la mia quanto ignoranza che si era trasformata in arroganza».
L’arresto
Ed è stata proprio l’ignoranza da cui Figini si è voluto allontanare il più possibile negli anni di detenzione.
«Ero stato arrestato prima in Lussemburgo – ha spiegato – dove il mio caso aveva avuto un clamore senza precedenti. Infatti col tempo erano scaduti i tempi per le indagini e, una volta rimesso in libertà, mi sono subito allontanato dal Lussemburgo».
Così Figini ha iniziato nuovamente a girare il mondo. Proprio durante quel periodo sono state uccise due persone, reati per i quali è stato condannato: «Non c’entro nulla, ma alla fine ho pagato io per tutto».
Ed è stato proprio in Italia che poi Figini alla fine è stato preso.
«Era il 1992 – ha ricordato- e fu proprio Giovanni Falcone a dare l’incarico alle autorità di Varese di procedere nei miei confronti per la detenzione per i 16 anni che dovevo scontare per i reati del Lussemburgo e di indagare per i due omicidi. Sono entrato in carcere a 33 anni e sono morto proprio come Cristo per poi risorgere. I primi anni di carcere li ho fatti a Varese, poi hanno iniziato a spostarmi un po’ ovunque in Italia: Como, Novara, Voghera, ma anche Bologna e tante altre carceri».
L’arrivo al carcere di Prato e gli studi
Finché non è arrivato a Prato nel 2002, quando già aveva intrapreso il suo percorso di studi: «Quando mi arrivò la condanna definitiva mi dissi che non potevo continuare a passare le mie giornate in carcere tra televisione, sport e poco altro. C’era da impazzire così. L’unica cosa positiva che potevo fare lì dentro era studiare. Già quando ero a Como avevo preso il diploma in ragioneria. E con quello ho potuto accedere ai corsi universitari. Così sono arrivato a Prato dove ho iniziato anche il mio percorso di studi con l’Università di Firenze grazie alla convenzione tra ministero di Giustizia, dell’Educazione appunto l’Università».
E’ stato così che Figini ha conosciuto un professore che lui stesso definisce «il mio salvatore», Paolo Dapporto. Lo stesso con il quale ha scritto il libro Lupo Alpha che racconta proprio la sua storia e il suo riscatto grazie allo studio e al reinserimento nel mondo del lavoro.
«E’ stato il professore con cui ho dato il primo esame. Una persona con cui mi sono trovato bene fin all’inizio: buono, disponibile, che faceva il suo lavoro con passione».
Non l’unica persona che Figini ricorda di quei suoi tanti anni in carcere, anzi.
«Ho ancora contatti – ci ha tenuto infatti ha spiegare – con tutte le persone che mi hanno assistito in carcere, persone oneste, brave, generose».
Ma tra tutti, quelli che hanno influito maggiormente sul suo percorso sono stati i professori Paolo Dapporto e Giovanni Ferrara (il suo vice tutor, «colui che mi ha dato – ha ricordato Alfonso – l’opportunità di poter uscire dal carcere grazie alla fiducia e al lavoro»).
Il libro sulla sua vita
«L’idea di scrivere un libro c’era da sempre – ha concluso Figini – ma era sempre rimasta chiusa nel cassetto. Ricordo i primi tempi del carcere quando inviavo lettere a mia sorella. Secondo lei talmente bene da poterle far diventare un libro. Parlando con Paolo Dapporto a fine lezione pian pian è venuta fuori questa idea. Sono stato io a raccontargli tutto della mia vita. Lui, come ogni altro professore che aveva a che far con i carcerati, è sempre stato molto discreto. Era il detenuto, s decidere di aprirsi e raccontarsi, Nessuno chiedeva niente». Il professore mi disse che la storia era bella e meritava di essere raccontata. Lo abbiamo fatto insieme. Ci abbiamo messo quattro o cinque anni, abbiamo discusso tanto, ma alla fine è nato “Lupo Alpha”».
Ed è venuta fuori così la storia di Danilo Gini, alter ego di Alfonso Figini, il suo avvicinamento al mondo del crimine, il passaggio prima ai furti e poi al traffico internazionale di droga, l’agiatezza economica in Sudamerica, poi l’arresto e la carcerazione preventiva, la scarcerazione e la fuga in Italia, il nuovo arresto e l’imputazione di duplice omicidio, il processo e la condanna alla pena dell’ergastolo.
Alfonso Figini ha confessato: «Da una parte c’è la grande soddisfazione di aver visto pubblicato il libro, dall’altra c’è comunque sempre da considerare che chiunque legge il mio libro mi vede a nudo. Non è sempre facile. Tutti sono al corrente del mio passato. Dal 18 febbraio di quest’anno sono un uomo libero, la pena è estinta e martedì c’è stata l’ufficializzazione da parte del tribunale».
La laurea e il lavoro all’Università
Ora Figini lavora all’interno del laboratorio Linea a Prato dell’Università di Firenze.
«L’università mi ha dato tanto – ha commentato – e lo devo al professore Giovanni Ferrara che ha creduto in me. Non era facile anche perché l’università non assume molto facilmente. Ma grazie a questo lavoro sono tornato a vivere. Mi piace perché è un lavoro di sperimentazione continua, non è mai la stessa cosa. E tanto lo devo anche a questi ragazzi con cui ho a che fare che mi hanno insegnato tanto una volta tornato in libertà. Basti pensare che io quando sono uscito nemmeno sapevo cosa fosse un’email o un lettore Mp3. Il mondo era totalmente cambiato da quando ero entrato in carcere: questi ragazzi mi hanno insegnato a “stare” al mondo oggi e io cerco di insegnare loro ogni giorno quello che ho imparato con la mia esperienza».