Accusò il fratello di violenza sessuale a Le Iene: chiesta la messa alla prova
In un servizio della trasmissione Mediaset andato in onda nel 2018 disse che il fratello lo aveva violentato da piccolo. Lui lo ha denunciato per diffamazione
Richiesta di messa alla prova accolta: processo sospeso per Marco Pioppi, denunciato dal fratello Luca per diffamazione dopo che sei anni fa, in un servizio de Le Iene, lo aveva accusato di averlo violentato da piccolo.
Accusò di violenza il fratello: assente in aula
L’imputato era atteso alla sbarra in aula mercoledì pomeriggio, ma non si è presentato. Nel 2018, in un servizio de Le Iene, aveva raccontato di aver subito abusi dal religioso quand’era piccolo (religioso nel frattempo assolto dal tribunale canonico) e di averne subiti oltre che da uno zio anche dal fratello, che avendo saputo delle violenze del prete le avrebbe usate per "ricattarlo" e commetterne a sua volta.
Il volto parzialmente oscurato, però, non aveva impedito il suo riconoscimento e, di conseguenza, quello del fratello da parte dei cittadini di Castiglione Olona (anche «grazie» alla condivisione del servizio e delle foto con l’inviata Nadia Toffa da parte di Marco Pioppi sulla sua pagina Facebook, sul gruppo del paese e sulla piattaforma GoFundMe), dov’erano cresciuti, e di Cuasso al Monte, dove risiedeva con la famiglia.
Una vita distrutta
Per Luca Pioppi, da quel 6 maggio è cambiato tutto.
"Mi aveva parlato degli abusi da parte del prete e dello zio, poi nel servizio mi ha tirato dentro - aveva raccontato a gennaio dalle pagine de La Settimana di Saronno - Era stato un fulmine a ciel sereno. Non so per quale motivo, ma ha voluto farmi male. Mi ha distrutto la vita. Ho ricevuto lettere in cui mi davano del pedofilo, mi hanno dato fuoco al giardino, ho dovuto cambiare casa due volte, preoccupato per l’incolumità dei miei figli".
Nel 2019 anche un tentativo di suicidio per la vergogna e per lo stigma che ormai si era impresso su di lui e la sua famiglia. Stigma che ha spinto Luca a denunciare il fratello cercando l’unica via possibile per avere giustizia e ripulita la propria immagine: una condanna per diffamazione.
In attesa delle scuse
Condanna (o assoluzione) che, salvo sorprese, non arriverà, "sostituita" da un risarcimento, una lettera di scuse e dall’obbligo per il fratello di svolgere lavori socialmente utili per almeno 8 mesi come da programma che dovrà essere definito dall’Uepe, l’Ufficio di esecuzione penale esterna. E il giudice Angelo Parisi nell’accogliere l’istanza presentata dal legale difensore Renato Maturo, è stato chiaro: se nella prossima udienza a novembre dovesse mancare uno di quegli elementi, il processo riprenderà.
"Dopo sei anni, nemmeno il coraggio di spiegare"
Istanza a cui l’avvocato della parte civile si era opposto:
"I comportamenti dell’imputato successivi al fatto e anche più recenti non fanno pensare che ci possa essere stata una resipiscenza sul fatto contestato. Anzi, ha continuato pervicacemente anche durante il processo a sostenere la non sussistenza del reato, il contrario di quanto presupporrebbe la messa alla prova".
La decisione del giudice è stata accolta con una vena di amarezza e di rabbia da chi per sei anni ha dovuto fare i conti con le conseguenze di quel servizio:
"Ovviamente la lettera di scuse in cui dovrà riconoscere di aver detto delle falsità è ben accetta. E’ l’unica cosa che mi rimane. Sono sei anni che aspetto e che aspetta anche la mia famiglia, e dopo sei anni non ha avuto nemmeno il coraggio di presentarsi e spiegare perchè mi ha distrutto la vita".
A novembre, si tornerà in aula: se l’imputato non avrà messo in atto delle «condotte riparative» adeguate (scuse e risarcimento), il processo ripartirà da dove si è interrotto.