La scuola – o almeno quelle che si fanno carico con serietà dell’affettività e della relazionalità – fa già la sua parte. Ma non si può chiedere alla scuola quello che sta alla famiglia. Il Rettore del collegio Rotondi di Gorla Minore don Andrea Cattaneo interviene nell’analisi dei fattori che possono portare a tragedie delle relazioni giovanili come quella del femminicidio di Giulia Cecchettin.
Il rettore don Andrea Cattaneo
«Un fatto gravissimo, al quale si è dato un risalto mediatico eccezionale, a dimostrare quanto l’informazione giochi un ruolo chiave sulle coscienze».
Alla base la violazione della sacralità della vita, ma anche l’incapacità di accettare il rifiuto e il fallimento:
«La scuola già si fa carico dell’educazione all’affettività e alla relazionalità ed è giusta la pretesa che tutte le scuole lo facciano in modo serio. Ma chiedere che sia la scuola a intercettare il disagio no. Quello nasce in famiglia. Dove non si dicono più i no, fin da bambini. Dove si elimina la possibilità del rifiuto e del fallimento, dove la via di ogni figlio deve essere uguale e omologata a quelle di tutti gli altri e avere la strada spianata».
Non si accetta il fallimento
“Quante volte i genitori vengono a lamentarsi del voto, del richiamo, del risultato scolastico carente, della bocciatura. Non accettano loro per primi il fallimento, che fa invece parte della vita, della formazione della persona, della crescita. Occorre educare al senso del limite, al valore del dare il meglio di sé più che di quello dell’approdo finale da esibire. Sono le conseguenze di una società performante che non fa il bene della persona. Se non si educa a questo, quando i no arrivano nelle relazioni, come in questo caso, le ripercussioni possono essere tragiche».
Ciò che non funziona in questo momento è la famiglia
Ma c’è un secondo fattore:
«Dobbiamo chiederci cosa è mancato nell’educazione dei ragazzi e dei giovani di 20-25 anni fa, che sono i genitori di oggi. Perché in questo momento che non funziona è la famiglia, che nega le difficoltà e non ha valori saldi. Quale modello famigliare avevano quei giovani? Quelli di una società che in nome del politically correct ha messo da parte i valori fondanti, ha rifiutato la netta distinzione tra giusto e sbagliato, ha rinnegato i principi base di un’etica che era alla base della famiglia e dell’educazione. Sono le conseguenze di un libertinaggio che ha portato disgregazione e la perdita di riferimenti».
Che la scuola senza la famiglia non può colmare:
«Si invoca il ruolo della scuola come luogo per intercettare le problematiche e le carenze dei ragazzi, ma questo può avvenire solo nella sinergia con la famiglia, che è vitale. A scuola si insegna il rispetto per la donna, per la corporeità, per la persona. Questo si fa e si deve fare bene, come avviene qui. E’ però indispensabile ritrovare dentro la società un modello famigliare forte, saldo nei valori e capace di educare, di abituare al no».