La notizia è ufficiale: dopo quasi centocinquant’anni, le suore canossiane stanno per lasciare Tradate.
Le suore canossiane lasciano Tradate
A darne l’annuncio è stato il prevosto, don Fabio Turba, attraverso un breve comunicato pubblicato sull’Agape:
“Con grande dispiacere, vi confermo quanto il consiglio dell’Istituto Canossiano mi ha comunicato lo scorso 31 ottobre – E’ un’altra straordinaria pagina di storia religiosa e di laboriosa attività che si chiude nell’anno del centenario dalla nascita di Barbara Melzi. Ufficialmente, a dicembre le ultime quattro canossiane della comunità ora residente raggiungeranno altre sedi dell’Istituto. Troveremo il modo di ringraziarle della loro presenza. Circa il futuro dello stabile, la congregazione valuterà il da farsi”.
Un pezzo di storia
L’edificio ha avuto diversi utilizzi nel corso storia recente: fino a non molto tempo fa ha ospitato le scuole superiori gestite dall’ordine ed alcune private, mentre attualmente, oltre alla residenza delle suore, vi si trovano anche il centro accoglienza gestito dalla Croce Rossa che ospita quasi 150 migranti e, nelle strutture distaccate che una volta erano adibite a locali di servizio, si è recentemente insediata una residenza sanitaria per disabili, la RSD Santa Giuseppina Bakita. Ma non è sempre stato così.
Le sue origini, infatti, affondano al quattordicesimo secolo, quando l’imponente edificio era la dimora delle famiglie nobiliari dei Pusterla e dei Melzi, dai quali discende anche Barbara.
Un luogo di accoglienza e cultura
La canossiana nacque proprio qui, il 12 ottobre 1825. Spinta fin da bambina ad andare incontro al prossimo ed in particolare verso i più piccoli, conseguì il diploma di maestra elementare e si unì, appena ventiduenne, alle Figlie della Carità, congregazione nata appena qualche decennio prima (nel 1819) e detta anche delle Canossiane dal nome della fondatrice dell’ordine, santa Maddalena di Canossa. La giovane contessa Melzi decise presto di mettere a disposizione del suo Istituto, che in quegli anni stava crescendo, anche la dimora di famiglia.
Nel 1878 aprì qui una casa-ricovero per le persone anziane e invalide e l’anno successivo acquistò l’adiacente chiesa d S. Maria del Castello, facendola decorare dal pittore legnanese Mosé Turri. Da allora il castello e i suoi abitanti sono diventati un punto di riferimento per la comunità tradatese, una presenza discreta ma fortemente percepita come luogo di cura e accoglienza.
Quale futuro per il castello?
Oltre al dispiacere per il saluto delle religiose, si iniziano a sentire con forza le preoccupazioni per la sorte della struttura, che riveste un notevole valore storico-artistico. Tanti tradatesi hanno avuto modo di varcare i suoi cancelli nelle occasioni più varie: qui per anni sono stati ospitate eventi culturali, come il concorso di Musica Città di Tradate, e pochi anni fa è stato possibile entrare all’interno delle sue stanze durante la visita straordinaria promossa dal Fai in occasione di una delle sue Giornate di Primavera.
Oggi il complesso si compone più corpi di fabbrica di epoche differenti: sopravvivono ancora alcune parti delle mura trecentesche (visibili in via Barbara Melzi), mentre il corpo di fabbrica principale risale al periodo rinascimentale e conserva ancora una parte delle decorazioni originali, in particolare nel cosiddetto Salone delle Aquile e nel Salone delle Feste, che mostra ancora interamente le sue sontuose pareti affrescate, il soffitto ligneo decorato e una balconata in ferro battuto che corre nella parte alta del salone.
Della struttura fa anche parte la chiesa di Santa Maria, ricostruzione tardo ottocentesca di un edificio di culto medievale, ed alcuni padiglioni più recenti, tra cui quello costruito appositamente per ospitare le scuole.