Don Ernesto Castiglioni, il prete che beffò i nazisti
In un libro la storia del sacerdote (1914-1994) protagonista della lotta partigiana con la "Brigata Treviglio"
Stazione di Treviglio, 5 agosto 1944. Il curato dell'oratorio don Ernesto Castiglioni, originario di Sacconago, passeggia tra banchine e binari, insieme ad un gruppo di bambini di nove-dieci anni. Sono i mesi più bui dell'occupazione tedesca: Treviglio, come tutta l'Italia occupata, è percorsa ogni giorno da militari nazisti e dalle milizie fasciste. Le montagne sono piene di partigiani, e le campagne sono affollate di giovani antifascisti che vivono in clandestinità. Sulla linea ferroviaria Milano-Venezia, che passa da Treviglio, passano i treni merci blindati che trasportano i deportati verso i campi di concentramento in Germania. Ebrei, ovviamente, ma anche oppositori politici, zingari, omosessuali. Che ci fa don Ernesto in quell'inferno? Cosa sta facendo un prete di provincia, con la sua comitiva di ragazzini d'oratorio, in questo sabato pomeriggio d'agosto? E perché di lì a poco sarebbe stato arrestato, e caricato su un treno come un prigioniero politico?
La storia di Don Ernesto Castiglioni, prete antifascista
Comincia così una delle storie più dimenticate e affascinanti della Resistenza a Treviglio: dal ritratto di un giovane prete di trent'anni, nato a Sacconago vicino a Busto Arsizio nel 1914 e finito giovanissimo a fare il curato nella Bassa, che a quasi trent'anni dalla morte apre il libro che racconta la sua vita. Lo storico di Fornovo San Giovanni Francesco Tadini l'ha condensata in "Don Ernesto Castiglioni - Tracce di memoria e resistenza a Treviglio", che è stato presentato ieri, venerdì 27 gennaio 2023, al Teatro Nuovo, in occasione della Giornata della Memoria. Si tratta del primo numero di una collana a cura dell'Ufficio Cultura della città, che "aprirà le porte" dell'archivio comunale cittadino a una serie di pubblicazioni inedite. Non solo: nello spazio "meno uno" del Tnt resterà aperta al pubblico fino al 12 febbraio anche una mostra con decine di reperti inediti sul prete trevigliese, imperdibile. Ma torniamo a quella stazione.
Le lime nascoste nel pane per i deportati
L'episodio citato è probabilmente anche uno dei più drammatici e intensi della sua intera esistenza di don Ernesto Castiglioni. Antifascista, ma sinora estraneo alla rete della Resistenza organizzata, don Ernesto era un coraggioso e brillante uomo d'azione, ben più di quanto le fotografie in bianco e nero che lo ritraggono magrolino e serioso lascino immaginare.
Quando arrivò a Treviglio era prete da poco: trent'enne, era stato ordinato sacerdote sei anni prima. Come tanti altri cattolici, era inorridito dal Nazifascismo. E come tanti, decise che valeva la pena rischiare la vita, pur di combattere quel cancro che si era impadronito dell'Europa.
Probabilmente ascoltando clandestinamente frequenze radio militari, aveva saputo che quel pomeriggio da Treviglio sarebbe transitato uno dei "treni della morte" diretti da Milano alla Germania, via Verona e Brennero. E forse dalle stesse fonti aveva anche capito che proprio a Treviglio il treno si sarebbe fermato per una breve sosta, durante la quale sarebbero state anche aperte le porte del convoglio, per far prendere un po' d'aria ai prigionieri. Una prassi che i tedeschi adottavano solo una volta usciti da Milano, per il timore di disordini.
Così decise di agire: radunò un gruppo di bambini per rendersi del tutto insospettabile, e si presentò in stazione. Distribuiva pane ai prigionieri, o almeno così sembrava a tedeschi e fascisti. Salvo che nascoste nelle pagnotte aveva nascosto diverse lime, che i detenuti avrebbero potuto utilizzare - forse, con un po' di fortuna - per fuggire. In più, prendeva nota di nomi e cognomi dei deportati: molti erano oppositori politici "rastrellati" senza che le loro famiglie ne sapessero nulla. Semplicemente, spariti.
Arrestato, finì sul treno della morte
Non andò benissimo: i nazifascisti lo riconobbero, si insospettirono e - sebbene per fortuna non capirono che quei panini erano "armati" - lo arrestarono. E su quel treno ci finì anche lui. I bambini che erano con lui, terrorizzati, riportarono subito la notizia ai genitori, che a loro volta avvisarono il parroco di allora (don Egidio Bignamini, un altro antifascista che sarebbe diventato una colonna dell'Azione cattolica trevigliese). Il timore era che don Ernesto Castiglioni sarebbe finito direttamente in Germania. Invece fu fatto scendere a Brescia, dove finì in carcere per un interrogatorio.
E il treno? La fortuna in cui confidava don Ernesto ci mise del suo: il treno dovette fermarsi per un bombardamento nei pressi di Verona, e lì probabilmente proprio grazie alle lime consegnate dal prete, i deportati riuscirono a smontare i pianali di alcuni vagoni. Qualcuno riuscì davvero a fuggire. Don Ernesto, sotto torchio, nonostante le botte riuscì a destreggiarsi e a salvarsi. "Come hanno fatto a fuggire?" gli chiedevano. "E io come faccio a saperlo? Sono un prete...".
"Si mosse con abilità evitando le accuse più pesanti: quelle di essere un anti-tedesco e di avere contatti con la rete della Resistenza organizzata" spiega Tadini. E quando poi il parroco don Bignamini telefonò al Cardinale di Milano - il famoso Alfredo Ildefonso Schuster - questi si mosse per farlo trasferire da Brescia a Cesano Boscone, in un centro detentivo riservato ai consoli dei paesi nemici.
L'attività come partigiano
Aveva salvato diverse vite, ma era ormai "compromesso", nonostante l'abito talare. Poté tornare a Treviglio - dopo una prigionia durata alcuni mesi - solo all'inizio del 1945. Fu arrestato di nuovo, con l'accusa di organizzare attività sovversive. E a quel punto, di nuovo, per lui si mise male. Riuscì ad evadere dalla Casa del fascio in cui era rinchiuso, e da lì si diede definitivamente alla macchia, come cappellano della Brigata Treviglio.
Gli anni a Vimercate, come prevosto
Sopravvisse alla guerra, e nel 1946 divenne padre spirituale al Collegio Gonzaga di Milano, succedendo a don Carlo Gnocchi. Nel 1957 venne quindi nominato dal cardinale Schuster prevosto di Vimercate e vicario foraneo: il 13 ottobre dello stesso anno fece il suo ingresso a Vimercate, dove sarebbe rimasto per ben trent'anni.
"La maggiore opera da lui realizzata è la costruzione, negli anni Sessanta, del Centro Giovanile Cristo Re in Via Valcamonica" si legge su un sito che tratta della storia della città brianzola. "In campo culturale curò il recupero ed il restauro dei quattro volumi in pergamena del XIII secolo e il riordino dell'Archivio Plebano, curato da don Eugenio Cazzani" prosegue. Nel 1965 venne nominato "Prelato d'Onore di Sua Santità". Dopo il ritiro a vita privata, morì nel 1994, ottantenne, nella sua casa del paese natale, a Sacconago.
Una storia dimenticata? Forse.
"Il tempo fa dimenticare ogni cosa, ma don Ernesto Castiglioni non è stato scordato. Non certo, almeno, dai suoi ragazzi" assicura l'autore Tadini.
Tanto che ieri, al Tnt di Treviglio, alcuni cittadini hanno preso la parola al termine della presentazione del libro, raccontando alcuni aneddoti sugli anni di don Ernesto a Treviglio, o ricordi famigliari sulla sua azione pastorale e politica.
Non solo: ne hanno parlato Elisabetta Ciciliot, la direttrice dell'Ufficio Cultura che ha curato la pubblicazione e il libro, ma anche la presidente della locale sezione dell'Anpi Ornella Ravaglia e la professoressa Rosangela Pesenti, dell'Isrec (Istituto Bergamasco per la Storia della Resistenza e Dell'Età Contemporanea). Tra il pubblico, incantanti, c'erano anche alcune classi dell'Istituto "Facchetti", cui si è rivolto il sindaco Juri Imeri.
"Ragazzi, ricordate che queste cose sono successe davvero, a ragazzini come voi. Sembra la trama di un film, ma è stata la realtà".
A teatro con lo spettacolo ispirato al libro di Liliana Segre
Le iniziative del Comune di Treviglio in occasione della Giornata della Memoria proseguiranno la sera del 6 febbraio, sempre al Tnt. Alle 21, come parte della rassegna «Il teatro che meraviglia», sarà messo in scena «Fino a quando la mia stella brillerà», uno spettacolo tratto dall'omonimo libro della senatrice Liliana Segre e di Daniela Palumbo, messo in scena da Margherita Mannino. L'ingresso è libero, ma è consigliata la prenotazione.