Dopo 30 anni ha incontrato la bambina, ora diventata donna e mamma, che durante il periodo drammatico della guerra serbo-bosniaca aveva adottato a distanza per garantirle il diritto allo studio e un presente più sereno. Non ha trattenuto la commozione Renato Ciuffo quando, per la prima volta, ha potuto abbracciare Ivana Pavlovic, oggi 43enne ma con lo stesso sguardo inconfondibile, che ha imparato a conoscere grazie alle fotografie che riceveva a casa dai frati francescani dell’Antoniano di Bologna, impegnati in una missione in quelle terre dilaniate dalla guerra e ancora oggi molto povere.
Conosce dopo 30 anni la bimba che adottò a distanza
«In occasione dei 30 anni dalla fine della guerra serbo-bosniaca sono stato invitato dalla comunità locale a Slavonski Brod, al confine con la Bosnia. Ho conosciuto Ivana Pavlovic, che nel 1992, quando è iniziata l’adozione a distanza, aveva solo 10 anni. Suo papà era deceduto al fronte e lei e la madre erano dovute scappare come profughe in Croazia – rivela Renato Ciuffo – Per questa bimba ho portato avanti per diversi anni un’adozione a distanza grazie a un progetto benefico ideato dai frati francescani dell’Antoniano di Bologna, che in quegli anni di conflitto decisero di aprire a Slavonski Brod un centro di sostegno e di cure per i bimbi profughi dalla Bosnia, orfani e feriti in guerra, tra questi anche la piccola Ivana». Il centro, chiamato «Zlatni Cekin» (letteralmente «Zecchino d’oro»), è stato gestito per tutti questi anni da Fra Ilijac Jerkovic, con il supporto di specialisti, come psicologi, pediatri, fisioterapisti e logopedisti: «Allora, oltre all’adozione a distanza per Ivana, organizzai decine di camion che dall’Italia partivano verso i Paesi colpiti per consegnare aiuti umanitari come medicinali, giocattoli, alimenti e abbigliamento. Anche in questo mio viaggio ho raccolto ogni genere di aiuto, come vestiti miei, di mia figlia e di conoscenti. Per questo ho ricevuto un attestato di ringraziamento. Qui siamo fortunati, accumuliamo talmente tanti beni che non usiamo e che poi buttiamo ancora nuovi. Lì invece, nonostante siano passati anni dalla fine del conflitto, le famiglie sono ancora molto povere e il centro dei frati francescani li aiuta materialmente, potendo contare solo su contribuiti statali e donazioni private».
Il viaggio in Bosnia
Con l’auto carica di beni di prima necessità, il turatese ha macinato tantissimi chilometri da solo in auto per arrivare fino alla Bosnia. Qui è stato accolto da da Fra Ilijac Jerkovic, che l’ha accompagnato da Ivana: «Ho conosciuto lei, i suoi figli di 15 e 22 anni, sua madre e i suoi fratelli. Il frate faceva da interprete. E’ stato toccante quando ha capito davvero chi fossi e mi ha ringraziato con gli occhi lucidi per aiuti invitati. In quel momento ha pensato a suo padre, che ha perso troppo presto». E ancora: «Da tanto avevo in mente di affrontare questo viaggio, ma le circostanze della vita me lo hanno impedito. Mi sono pentito di non averlo fatto prima e sicuramente ci tornerò, perché c’è ancora tanto da fare in quelle terre». Durante i giorni in Bosnia, Ciuffo ha visitato anche il convento dei frati francescani di Derventa, a 30 chilometri da Slavonski Brod: «Qui ho conosciuto il frate Ivan che mi ha mostrato le campane rimaste dalla vecchia chiesa, completamente distrutta dai bombardamenti. Oggi sono ancora in mostra per dimostrare come quella brutta pagina di storia non vada dimenticata».
L’umanità di Renato Ciuffo
Non è la prima volta che il turarese compie gesti di grande umanità: «Ho portato avanti varie adozioni a distanza anche a favore dei bimbi poverissimi della Thailandia e nel 2022, dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, in accordo con l’ambasciata, sono partito con un amico verso il confine con la Polonia per portare generi alimentari di prima necessità. E’ stato straziante vedere tanti profughi varcare il confine tra il freddo e la neve di marzo». E infine un’amara riflessione: «Non si può stare indifferenti sul divano mentre nel mondo accadono ingiustizie così crudeli. Oggi il mio cuore è dilaniato per la tragedia in corso a Gaza. Se fosse stato più fattibile il viaggio, sarei già partito per aiutare i civili come fatto in Bosnia e in Ucraina».