Non serve una legge

Al lavoro solo se vaccinati? I datori già ora potrebbero imporre l'obbligo

L'autorevole parere di Pietro Ichino, giuslavorista, ex parlamentare ed ex sindacalista

Al lavoro solo se vaccinati? I datori già ora potrebbero imporre l'obbligo
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Come vi abbiamo raccontato nei giorni scorsi la proposta di Confindustria di far accedere ai luoghi di lavoro solo i dipendenti vaccinati, ipotizzando anche possibili sospensioni o cambi di mansione per i lavoratori no vax, ha suscitato forti reazioni, non solo da parte dei sindacati, ma anche dal ministro del Lavoro Andrea Orlando che ha replicato "no a proposte unilaterali". La questione, però, non pare essere così facilmente liquidabile perché implica due diritti inviolabili: la libera scelta del singolo contrapposta alla facoltà di mettere in pericolo la collettività. Se è vero che nessuno può essere obbligato a nessun trattamento sanitario se non per disposizione di legge (articolo 32 della Costituzione) è altresì vero che l'imprenditore è obbligato ad adottare le misure necessarie ad assicurare l'integrità fisica dei dipendenti (articolo 2087 del Codice civile).

Sappiamo inoltre che, secondo le norme sulla privacy, un datore di lavoro non avrebbe alcun titolo di chiedere ai dipendenti se si sono sottoposti o meno a vaccinazione.

Come orientarsi in questo ginepraio di disposizioni, spesso in contraddizione?

Vaccinati per poter lavorare: cosa dice la Legge?

Interrogato sul tema dal Corriere della Sera il professor Pietro Ichino, giuslavorista, giornalista, ex parlamentare ed ex sindacalista, prova a fare chiarezza, a partire dalla legittimità della richiesta di Confindustria.

"Credo proprio che Confindustria abbia ragione: condizionare l’accesso in azienda all’avvenuta vaccinazione, oggi che il vaccino è disponibile per tutti, è una misura sicuramente efficace e ragionevolissima per evitare il rischio di una quarta ondata epidemica, che sarebbe disastrosa per il Paese. Osservo solo che, a ben vedere, proprio perché la misura è efficace e ragionevolissima, gli imprenditori potrebbero già adottarla di loro iniziativa, anzi dovrebbero, anche senza attendere un provvedimento legislativo ad hoc, in forza dell’articolo 2087 del Codice civile, oltre che degli articoli 15 e 20 del Testo Unico per la sicurezza nei luoghi di lavoro (d.lgs. n. 81/2008)".

Insomma, ad avere un peso significativo che potrebbe conferire legittimità alla proposta avanzata dagli industriali, ci sarebbe proprio l'obbligo di legge di tutelare i propri lavoratori, garantendo la salubrità dell'ambiente di lavoro.

Pietro Ichino

Come conciliarla con la libertà personale di cura?

Tutto lineare, non fosse per  l’articolo 32 della Costituzione sulla libertà di scelta per i trattamenti medico-sanitari, a meno che la legge non preveda un obbligo.

"La stessa norma costituzionale ha come primo oggetto la protezione della sicurezza e della salute di tutti. Libero dunque ogni cittadino di non vaccinarsi, finché una legge non prevede questo obbligo; ma non di mettere a rischio la salute degli altri. E libero ogni imprenditore, dove la vaccinazione costituisca la misura più efficace per la tutela dei propri dipendenti, di richiederla in forza delle norme che ho appena citato: che sono pur sempre leggi dello Stato", replica Ichino.

Cosa rischierebbe dunque un lavoratore che rifiuta di vaccinarsi o di presentare il green pass?

"Il decreto-legge n. 44/2021, che già dispone l’obbligo di vaccinazione per tutto il personale medico-sanitario, prevede che i renitenti possano essere spostati a mansioni - anche di livello inferiore - che non comportino il contatto con altri dipendenti o pazienti, oppure, quando questo non sia possibile, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione. Esattamente come per il guidatore di auto o camion a cui sia stata sospesa la patente di guida. Questo è un trattamento meno rigido rispetto alla regola generale, che consente il licenziamento del lavoratore che, senza giustificato motivo, rifiuti di rispettare una misura di sicurezza disposta dal datore di lavoro".

E come la mettiamo con la privacy?

Resta ancora l'apparente inconciliabilità con il divieto del Garante della Privacy

"La tesi del Garante della Privacy è riferita alla generalità dei cittadini italiani, in una situazione in cui un obbligo generale di vaccinazione non è ancora previsto dalla legge. Ma lo stesso Garante riconosce che il diritto alla riservatezza è un diritto eminentemente disponibile: per esempio, ognuno è libero di disporre del proprio diritto all’immagine, o al riserbo sulle proprie vicende personali. Allo stesso modo, anche senza una legge che obblighi a vaccinarsi, ognuno è libero di stipulare un contratto che preveda questo obbligo. Dunque l’albergatore, il ristoratore, il gestore di un servizio di trasporto, possono legittimamente subordinare l’accesso ai propri servizi all’esibizione del certificato di vaccinazione. Certo: libera ogni persona di non vaccinarsi, ma libero anche l’albergatore o il trasportatore di non stipulare con la stessa, se non si è vaccinata, il contratto di albergo o di trasporto. Allo stesso modo l’obbligo di vaccinarsi può derivare dal contratto di lavoro, per effetto delle norme citate; l’imprenditore che ritenga necessaria la vaccinazione per garantire nella misura massima possibile la sicurezza nel luogo di lavoro, e porsi al riparo da responsabilità risarcitorie potenzialmente elevatissime, può – e a mio avviso deve – esercitare il potere attribuitogli dall’articolo 2087 del Codice civile, richiedendo la vaccinazione ai propri dipendenti. Meglio ancora, ovviamente, se questo è previsto da un accordo con i sindacati; ma non è indispensabile".

In forza di queste interpretazioni la proposta partita da via degli Astronauti potrebbe avere le gambe per camminare.

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