Ruxolitinib e cortisone: al San Marco rilevato -70% nella mortalità
Una ricerca dell’ospedale bergamasco, pubblicata sulla prestigiosa rivista internazionale "Leukemia", dimostra l’efficacia del Ruxolitinib a basso dosaggio (insieme al cortisone) nella cura alle infezioni causate dal coronavirus
Un trattamento precoce e mirato, con combinazione di Ruxolitinib a basso dosaggio e cortisone, ridurrebbe del settanta per cento la mortalità da Covid-19. A suggerirlo è un recente studio condotto da un gruppo di specialisti del Policlinico San Marco di Zingonia, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Leukemia. I ricercatori hanno infatti ipotizzato che l’eccessiva infiammazione, tipica dell’infezione da Covid-19, potesse essere controllata da Ruxolitinib, farmaco appartenente agli inibitori di JAK-STAT già utilizzato per il trattamento della sindrome da linfoistiocitosi emofagocitica, che è caratterizzata da una ipersecrezione di citochine molto simile a quanto osservato nell’ infezione da Covid-19.
Lo studio al San Marco sul Ruxolitinib
"L’uso del farmaco è stato approvato dal comitato etico unico nazionale e dall’Aifa, per l’utilizzo in emergenza, nell’ambito delle cure compassionevoli – afferma il dottor Andrea D’Alessio, responsabile dell’Unità di Medicina Interna e Oncologia del Policlinico, tra i principali autori dello studio -. In diverse sperimentazioni, italiane e internazionali, aveva dato primi segnali incoraggianti, pertanto abbiamo deciso di approfondire testando il farmaco su una casistica più ampia, somministrandolo precocemente ai pazienti appena ricoverati, prima che si determinasse un danno polmonare e vascolare sistemico".
Lo studio, denominato “Low – dose Ruxolitinib plus steroid in severe Sars-CoV-2 penumonia”, ha visto coinvolti 75 pazienti affetti da coronavirus, ricoverati con gravi forme di polmonite, tra marzo e aprile 2020 presso il Policlinico San Marco del Gruppo San Donato e aveva l’obiettivo di verificare gli effetti del Ruxolitinib sul decorso della malattia.
"Un'arma in più per curare i pazienti"
"Questo farmaco, che ha una emivita breve e se sospeso rapidamente viene eliminato dall’organismo, inibisce una proteina chiamata JAK che è legata ai recettori dell’infiammazione presente sulle cellule del sistema immunitario. È in grado di ridurre il rilascio di citochine pro-infiammatorie coinvolte nello sviluppo del quadro di malattia sistemica correlata all’infezione da Covid-19. È sempre bene ricordare che la Sars-CoV-2 è una patologia che riguarda l’intero organismo, sostenuta da una reazione immunitaria abnorme, non regolata, in cui il sistema immunitario produce una quantità enorme di mediatori infiammatori, le citochine. L’esperienza acquisita nella gestione di Ruxolitinib durante la prima ondata della pandemia, ci permette oggi di avere un’arma in più per curare i nostri pazienti. Diversi studi internazionali sono attualmente in corso al fine di confermare i dati", conclude il dottor D’Alessio.