Plasma iperimmune, all'Asst Lariana via libera per l'uso compassionevole in un paziente
Da mesi non se ne sente più parlare ma test e sperimentazione sono proseguiti. A Como, approvato ieri l'utilizzo per un paziente fuori dai test clinici
Con il coronavirus che ricomincia a mordere e a causare sempre più vittime, si torna a parlare di plasma iperimmune. Ieri il primo utilizzo in regime di "uso compassionevole" all'Ospedale Sant'Anna.
Plasma iperimmune, speranza per un paziente comasco
"Uso compassionevole": così si definisce l'utilizzo di farmaci sperimentali al di fuori degli studi clinici. Spesso, si tratta dell'ultima spiaggia: o di tenta la cura sperimentale, o il decorso del paziente è certo. Ieri, la misura ha riguardato il plasma iperimmune, quello ricavato dal plasma delle persone guarite dal coronavirus, ricco di anticorpi. Se ne era parlato per mesi, poi con l'inizio della fase clinica l'argomento è passato in secondo piano. Gli studi però sono andati avanti, così come le sperimentazioni. E ora se ne torna a parlare per l'utilizzo a vantaggio di un paziente ricoverato al Sant'Anna di Como.
Ieri l'approvazione del Comitato Etico dell'Insubria dopo aver esaminato la documentazione relativa alla richiesta e nel pomeriggio la consegna dall'Irccs San Matteo di Pavia che ha permesso la somministrazione già la sera.
Il plasma iperimmune, come funziona
Quando una persona affronta una malattia, il suo sistema immunitario produce gli anticorpi, molecole specifiche che impediscono (per un tempo più o meno limitato) la reinfezione dallo stesso agente patogeno. Semplificando (molto), col plasma iperimmune si utilizzano gli anticorpi di una persona guarita per aiutarne una che invece non riesce da sola a sconfiggere la malattia.
Il plasma viene raccolto da dei donatori in cui si rileva almeno una determinata quantità di anticorpi specifici: le sacche vengono successivamente trattate per essere "standardizzate", di maniera tale che ogni paziente riceverà la stessa "dose" di anticorpi. A differenza di un vaccino però, i pazienti trattati con plasma iperimmune tendono a non produrre i propri anticorpi contro la malattia.
Contro il coronavirus la trasfusione di plasma iperimmune ha dimostrato nei primi test di poter essere un'arma importante, soprattutto quando l'infezione è all'inizio, e potrebbe quindi essere di particolare aiuto per i pazienti più fragili e a maggior rischio di complicazioni e decesso. Ma i risultati, spiegavano i medici del San Matteo durante la Fase 1 dell'epidemia, erano incoraggianti anche nelle fasi più avanzate dell'infezione.
Per questo la Regione aveva subito lanciato la "banca del plasma iperimmune", insieme alla campagna di test sierologici che permettendo di individuare la presenza di una risposta immunitaria hanno permesso di trovare anche i possibili donatori. E Varese, come tanti altri ospedali, aveva subito aderito impegnandosi nella raccolta mentre all'Asst Valle Olona si era registrata una delle prime donazioni.