Emergenza Coronavirus: “Impariamo dai bambini malati di tumore"
La lettera aperta ai giovani (e non solo) di una professoressa e mamma che nel 2005 ha perso un figlio per un linfoma
Emergenza Coronavirus e “clausura” forzata: “Impariamo dai bambini malati di tumore”. E’ l’invito di Angela Ballerio, professoressa e mamma che ha perso un figlio nel 2005 per un linfoma non Hodgkin. Con lui, lei ha vissuto lo stesso incubo della mascherina, dell’obbligo di stare in casa e non frequentare nessuno. Ecco la sua lettera aperta ai giovani (che ha tanto da dire a tutti noi).
Emergenza Coronavirus, la lettera aperta ai giovani
“Tutte le famiglie sono obbligate a far fronte alle proprie paure. L’intera nazione, la prima al mondo, è chiusa per emergenza Coronavirus. I genitori hanno un compito difficile: spiegare ai bambini e agli adolescenti perché si deve rimanere a casa. I più piccoli sembrano obbedire di più, perché hanno la percezione del pericolo, che la loro sicurezza dipenda dai genitori dai quali sono dipendenti. Gli adolescenti invece sono spavaldi, sfidano le regole, minimizzano la gravità del problema. Si riuniscono ancora nelle strade, nei parchi, a casa di amici, come se la loro libertà fosse un diritto da valere sopra ogni norma”.
Così scrive Ballerio. Suo figlio aveva solo 12 anni quando si è spento. Oggi lei, insieme al marito Marco Ascoli, è al timone della Fondazione Giacomo Ascoli. Una fondazione varesina che si prende cura dei bambini affetti da patologie onco-ematologiche e delle loro famiglie.
“Impariamo dai bambini ammalati di tumore”
“Impariamo da loro… – prosegue la donna – Sono da giorni chiusa in casa e osservo il mondo. Lo osservo dalla mia finestra. Lo osservo attraverso la televisione, i social. E’ da tempo che vorrei scrivere due righe da condividere su Facebook con i miei amici. Non lo faccio perché l’unica parola che mi risuona nella testa è l’aggettivo ‘ignorante, ignoranti’ e non mi pareva bello, non mi sembrava educato… poi questa mattina aprendo Facebook mi è riapparsa una fotografia che mi ha dato lo spunto per fare una riflessione.
Impariamo dai bambini, dai ragazzi ammalati di tumore e dalle loro famiglie che imparano ad accettare una diagnosi che nessuno vorrebbe mai ascoltare, che imparano ad accettare una vita che si ferma per 6 mesi, 1 anno, 2 anni, quando va bene, 4, 5, 6 anni e poi può andare male, sì perché i bambini imparano a vivere una vita congelata: no scuola, no asilo, no amici, no pizza in compagnia, no cinema, no sport, no passeggiate, no aperitivo, no weekend. Imparano a indossare una mascherina e soprattutto imparano a essere guardati degli altri come degli untori, il cancro non è infettivo! Imparano, fanno fatica ad accettare, piangono, si arrabbiano, ripiangono, urlano, strepitano ma poi accettano e allora convivono anche bene con il mostro. Ritornano a ridere, a giocare, a divertirsi, a stare con gli altri, a gioire della vita con delle nuove regole e imparano anche ad apprezzare questa nuova normalità con sempre nella testa l’obiettivo di farcela”.
“Se sono capaci loro di rispettare delle semplici regole, perché noi no?”
"Io li conosco bene questi bambini, ragazzi, conosco bene la storia di ognuno di loro, so che cosa passa nel cuore, nella testa delle loro mamme, conosco ogni singola emozione, rivivo con loro ogni ansia, paura, gioia speranza, terrore, disperazione. Con Giacomo ho vissuto tutto questo per 5 anni. Dal 2012 mi occupo del volontariato in Fondazione Giacomo Ascoli, mi occupo della parte umana in day center, sto con le mamme, con le famiglie, mi occupo di scuola, i nostri bambini imparano a fare scuola a distanza con il robottino Ivo. E allora? Se sono capaci dei bambini, dei ragazzi ammalati di accettare tutto ciò perché, mi chiedo e richiedo da giorni, perché non dobbiamo essere capaci tutti di accettare per un po’, poco in fondo, di rispettare delle semplici regole? Impariamo da loro, impariamo dai bambini e dai ragazzi ammalati di tumore”.