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Coronavirus e frontalieri, Candiani e Molteni: "Governo preveda il ristoro"

Dietro ai due ex sottosegretari leghisti anche la voce di 26 sindaci dei territori di frontiera

Coronavirus e frontalieri, Candiani e Molteni: "Governo preveda il ristoro"
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Coronavirus e frontalieri, il lavoro non si ferma nemmeno per chi lavora oltre confine. Dove però le disposizioni di sicurezza non sono stringenti come in Italia.

Coronavirus e frontalieri, gli ex sottosegretari: "Serve una legge"

"Il Governo non dimentichi i frontalieri e preveda un ristoro per i 70.000 lombardi e piemontesi che lavorano in Svizzera. L’esecutivo accolga il nostro appello e preveda tutele specifiche per questa categoria di lavoratori principalmente comaschi e varesini. Molti frontalieri delle province di Varese, Como, Sondrio e Verbano Cusio Ossola non avendo garanzie specifiche in piena emergenza Coronavirus continuano a lavorare rischiando la loro salute pur di mantenere l’occupazione. Per la loro sicurezza  e per quella dei territori di confine con la Svizzera - che non ha regole severe come le nostre - il governo mandi un chiaro messaggio con una norma specifica per i frontalieri già nel prossimo decreto, con le risorse necessarie  a dare assitenza dal punto di vista previdenziale ed economico a chi dovesse perdere il lavoro per l'infezione o a causa delle ripercussioni economiche di tutta la filiera transfrontaliera dei territori di confine".

Lo dichiarano i parlamentari lombardi della Lega Stefano Candiani e Nicola Molteni ex sottosegretari all’Interno con Matteo Salvini.

Appello anche dai sindaci

A quella dei due ex sottosegretari si somma la voce dei consiglieri regionali Giacomo Cosentino ed Emanuele Monti e di 26 sindaci. Tutti hanno sottoscritto una lettera al Presidente del Consiglio Giuseppe Conte per accendere i riflettori sul problema. I primi cittadini si rivolgono anche al Presidente della Regione Attilio Fontana perchè si faccia portavoce delle loro preoccupazioni.

Ecco il testo della lettera inviata a Fontana e a Conte:

Signor Presidente del Consiglio,
Noi Sindaci delle zone di Confine stiamo vivendo con apprensione, insieme a molti nostri concittadini, questa emergenza epidemica che sta cambiando il nostro modo di vivere e lavorare. Lo stato in cui si trovano a dover lavorare in questi giorni tantissimi nostri concittadini frontalieri, che ci stanno contattando preoccupati per la loro salute alla luce delle misure attuate dal Canton Ticino, ma in special modo per quelle non prese, ci costringe a scrivere questa missiva. Il disagio creato dalla diversità di provvedimenti attuati per il contenimento del Covid19 da parte delle autorità elvetiche rispetto a quelle italiane sta esasperando i frontalieri. Parecchi datori di lavoro ticinesi hanno imposto ai frontalieri di trasferirsi al di là del Confine per un po’ di giorni al fine di assicurare la continuità produttiva nelle aziende, senza alcun rispetto della condizione personale dei lavoratori.  Abbiano notizie di stanze d’albergo prenotate per far dormire colleghi tra di loro, nonché di dormitori improvvisati sul posto di lavoro, non curandosi quindi della regola che faticosamente in Italia stiamo facendo rispettare di non promiscuità nei rapporti sociali al di fuori dei propri familiari.
Molti valichi doganali minori inoltre sono chiusi da due giorni con il risultato di creare code lunghe chilometri nei valichi principali, sia in provincia di Varese che in Provincia di Como, costringendo i nostri cittadini ad affrontare ore fermi in automobile alla frontiera, con il pretesto di eseguire maggiori controlli di sicurezza su chi accede in Svizzera. Segnaliamo però che le forze di polizia svizzera non eseguono alcun controllo sanitario, bensì chiedono semplicemente i documenti senza l’utilizzo di mascherine o di altri dispositivi di protezione individuale.
L’incidenza di contagi attuale segnalata dalle autorità elvetiche è quasi pari a quella delle intera provincia di Varese o di Como, con la differenza che il Canton Ticino ha solo 350 mila abitanti a fronte dei 900mila della Provincia di Varese e dei 500mila di Como.
Nonostante questi dati, i provvedimenti igienico sanitari intrapresi dalle autorità oltreconfine sono nella misura di semplici raccomandazioni che ben conosciamo sul tenere la distanza e nell’igiene personale; solo da lunedì prossimo 16 marzo saranno chiuse le scuole, soltanto cinema teatri e palestre sono stati chiusi, mentre nessun provvedimento significativo è stato deciso per le attività commerciali, ristorative o produttive fatta eccezione per il rispetto della distanza di un metro tra le persone; inoltre solo le manifestazioni con grande afflusso di pubblico sono state vietate. Scriviamo questa lettera per far risuonare la voce dei nostri concittadini che, con più che comprensibile preoccupazione, ci domandano come si possa fermare l’epidemia se i sacrifici che stiamo compiendo in Italia rischiano di essere vanificati per via della diversità di restrizioni applicate oltreconfine. Qualsiasi sforzo compiuto dai nostri Comuni e dai nostri concittadini rischia di essere inutile se anche i settantamila frontalieri non verranno tutelati nei loro diritti dallo Stato Italiano e dalla Confederazione Elvetica.
Riteniamo indispensabile che le autorità italiane e svizzere decidano azioni coordinate per fronteggiare l’emergenza nonché per tutelare la salute dei frontalieri e delle loro famiglie che in questo momento stanno vivendo enormi disagi lavorativi e familiari, scongiurando qualsiasi caso di contagio di ritorno da oltreconfine.
Chiediamo anche al Governatore Attilio Fontana, informato della situazione che abbiamo descritto, di farsi promotore di questa nostra richiesta presso il Governo.
Certi di un Vs interessamento, auguriamo buon lavoro in questo momento difficile per la Nazione.

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