L'importanza del farmacista in corsia per pazienti e medici
Il progetto vede una fattiva collaborazione tra il farmacista ospedaliero e il medico internista nella gestione del paziente
Per evitare errori nell'assunzione delle terapie farmacologiche da parte dei pazienti in ospedale la presenza di un farmacista in ospedale è fondamentale.
L'importanza di un farmacista in ospedale
“É sicuramente capitato a molti di noi, durante il lavoro in corsia o in pronto soccorso, di imbatterci in errori di assunzione della terapia da parte di qualcuno dei nostri pazienti”, queste le parole della Dott.ssa Alba Sciascera, Direttore UOC Medicina dell’Ospedale di Saronno, che presenta alcuni aneddoti e vissuti di pazienti che hanno confuso la modalità di somministrazione perché non erano stati adeguatamente resi edotti.
O che, addirittura, hanno sbagliato farmaco per fonetica simile.
“Ho visto un paziente accedere con grave insufficienza renale perché aveva confuso il diuretico con l’antibiotico dato che il nome dei due farmaci si assomigliava. Di recente, poi, mi è capitato di ricevere la telefonata di un parente di un paziente dimesso con circa 6 farmaci: sulla lettera di dimissione i farmaci erano stati scritti col nome del principio attivo e questo aveva generato notevole confusione non solo nel paziente anziano, ma addirittura nel parente più giovane. Ecco alcuni dei rischi della politerapia. Purtroppo i nostri pazienti sono nella maggior parte dei casi polipatologici ed è frequente che assumano più di 5-6 medicinali (o più) che richiedono magari più somministrazioni giornaliere”, prosegue la Dottoressa Sciascera.
Le interazioni fra i farmaci
In effetti basta compiere una ricerca su un qualsiasi portale per imbattersi in titoli come “allarme aderenza alle terapie”, “rischio di errore”, “difficoltà di gestione”, “sicurezza dei farmaci”.
Navigando su siti più specifici (p.e. Ordine dei medici, AIFA, Istituto farmacologico Mario Negri) si trovano anche indicazioni numeriche: 1 paziente su 5 dimentica la terapia, 1 paziente su 7 sbaglia dosaggio, il 30% degli anziani assume 10 o più farmaci e il 66% degli adulti più di 5 farmaci/anno.
Ma è proprio così?
La Dr.ssa Sciascera risponde
“É ormai descritto in letteratura che parte dei ricoveri sono causati da poco conosciute interazioni fra i farmaci che superano, quindi, i loro potenziali benefici. I motivi della politerapia possono essere molteplici: l’aumento dell’età e il contestuale aumento delle malattie, il considerare a volte il paziente come un contenitore di organi malati e di relative pillole, il timore del medico a modificare la terapia (squadra che vince non si cambia)”, che prosegue affermando “Così si stratificano nel tempo farmaci e medicine. Non dimentichiamo il timore del paziente a cambiare le cure; può capitare che non si rendano conto dei potenziali effetti collaterali o che, per paura, non li raccontino. Senza dimenticare l’uso di integratori, tisane e altri prodotti che diventano la risposta più veloce, semplice e diretta per essere sempre più efficienti e performanti”.
Ma un paziente anziano che assume 6 o 7 farmaci (o più) è, di fatto, un esperimento in sé. Non c’è nessuno studio che descrive quali interazioni vi siano in quella specifica persona che utilizza contemporaneamente quei farmaci a quelle dosi, in quegli orari, che mangia quei cibi, che ha quel metabolismo renale ed epatico, ecc.
Le linee guida non contemplano la comorbilità, ma si riferiscono a popolazioni selezionate quasi mai corrispondenti al paziente che ci si trova di fronte. E ancora, non prevedono le interazioni tra farmaci.
É del 2016 uno studio di ricercatori australiani pubblicato sul British Medical Journal che ha esaminato il ruolo della condivisione dei processi decisionali nel contrastare la politerapia inappropriata nella popolazione anziana: migliorare l’outcome del malato attraverso il coinvolgimento di medico e paziente, la presa di coscienza del problema e il cambiamento di rotta.
Dall’anno scorso l’Ospedale di Saronno ha deciso di riprendere in mano questa problematica.
“Pochi conoscono lo studio del BMJ, che riteniamo sia invece uno spunto importante per affrontare un problema, che seppur sommerso, è causa di molti disagi nel paziente anziano” sottolinea la Dott.ssa Sciascera, “Attraverso questo progetto vogliamo sottolineare l’importanza dell’appropriatezza terapeutica, cioè la misura di quanto una terapia sia adeguata rispetto alle esigenze del paziente nel momento della valutazione. Si tratta di valutare le terapie nel loro complesso, verificare quando mantenere un farmaco possa essere più dannoso che utile, specie se associato ad altri preparati”.
“In secondo luogo, desideriamo che vengano considerati i motivi della politerapia e la possibilità di un cambiamento efficace, sia nell’agire medico (riducendo il concetto di “squadra che vince non si cambia”) che deve assumersi la responsabilità del cambiamento stesso, sia nell’agire del paziente, il quale spesso annette acriticamente farmaci che assumono un potere salvifico, senza focalizzarne gli effetti collaterali, spesso sopportandoli o trascurandoli e senza comunicarli”, prosegue la Dott.ssa Sciascera.
Il progetto vede una fattiva collaborazione tra il farmacista ospedaliero e il medico internista nella gestione del paziente.
In base a criteri stabiliti congiuntamente, l’internista proporrà al farmacista il paziente su cui effettuare una valutazione di necessità, efficacia e sicurezza della terapia in corso. Il farmacista segnalerà eventuali effetti collaterali e interazioni tra farmaci e discuterà con l’internista le possibili modifiche che, attraverso un documento rilasciato insieme alla lettera di dimissione del paziente, saranno poi trasmesse al Medico di Medicina Generale
Il Dott. Paolo Lusuriello, Responsabile della Struttura Complessa di Farmacia dell’ASST Valle Olona, conferma che la politerapia nel paziente anziano è associata anche a un aumentato rischio di perdita dell’autonomia funzionale, deficit cognitivo, fragilità, ospedalizzazione.
“Per questo motivo è necessario comprendere e analizzare in maniera appropriata ciascun paziente, singolarmente, al fine di erogare le cure e le terapie più opportune e condivise. Il farmacista ospedaliero, in sinergia con il clinico, rappresenta un valore aggiunto per i pazienti, contribuendo alla maggior sicurezza nell’uso dei farmaci e quindi al miglioramento della la cura e dell’assistenza. Siamo convinti che una adeguata rivalutazione della terapia farmacologica porti in generale al miglioramento della qualità di vita, sebbene sia ovviamente necessario un monitoraggio del paziente post armonizzazione terapeutica”, conclude il Dott. Lusuriello.