Salvatore Borsellino sull'arresto di Messina Denaro: "Trent'anni sono un'infinità"
Il fratello del magistrato ucciso dalla mafia: "Questo arresto non può essere considerato un successo, non posso esultare"
L'arresto di Matteo Messina Denaro
Non è facile esultare dell’arresto di Matteo Messina Denaro neanche per Salvatore Borsellino, fratello del magistrato vittima delle stragi di mafia. Lui, che da cinquant’anni risiede ad Arese e vive la sua quotidianità nella lotta alla criminalità organizzata, come se suo fratello Paolo, morendo tragicamente nella strage di via D'Amelio nel «lontano» ‘92, gli avesse lasciato un testimone di civiltà.
Dove si trovava al momento della notizia dell’arresto di Matteo Messina Denaro?
Proprio come lui, in ospedale. Stavo facendo delle visite e non ho saputo immediatamente del suo arresto. Solo una volta che sono uscito dall’ospedale ho letto un messaggio di mia moglie.
Come si è sentito dopo averlo saputo?
Ovviamente soddisfatto. Dobbiamo ringraziare le Forze dell’Ordine che ogni giorno fanno grandissimi sacrifici per arrivare a questi risultati. Però fin da subito ho avuto un brutto retropensiero: trent’anni sono troppi. Sono un’infinità. Questo arresto non può essere considerato un successo, non posso esultare.
Cosa non le va proprio giù della cattura di Matteo Messina Denaro?
Lui ha potuto nascondersi per trent’anni perché dove abitava godeva di una grande rete di appoggi e di omertà. Lui ha un trattamento di favore immenso perché già suo padre, Francesco Messina Denaro era un capo indiscusso. A casa sua, ai suoi cittadini, lui non si imponeva con pizzi, ma anzi ha fatto partecipare tutti negli affari del territorio. Questo è quello che più rende la mafia forte: quando riesce a sostituirsi allo Stato e quasi prende il posto di delegato al Welfare. Per questo, per molti è un benefattore. Certo, sono felice che i giovani siano scesi in piazza, ma chi è di un’altra generazione non la pensa così.
E quando sente parlare di trattativa, cosa ne pensa?
Mi viene l’orticaria. Purtroppo però vedo dei segnali tangibili che mi fanno pensare che si possa essere scesi a compromessi con la mafia. La scena che più mi lascia perplesso è che Matteo Messina Denaro non indossasse le manette. Totò Riina è stato arrestato e aveva alle mani le manette: lui, invece, no. È stato accompagnato all’auto delle Forze dell’Ordine come fosse un taxi. Lo Stato dice che non ha bisogno di dimostrare il suo potere così ed è giusto durante un processo, con un imputato. Ma lui è un criminale. Questa è stata una gentilezza che non accetto e un messaggio pericoloso.
Cosa si aspetta dal futuro?
Ciò che spero è che ci siano degli sviluppi da questa cattura. Dev’essere individuata la sua rete di favoreggiamento che al di là dei suoi collaboratori, purtroppo esiste anche ai piani più alti. Perché ogni volta che si faceva irruzione nel presunto luogo di latitanza, lui non c’era, anche se il covo era caldo? Bisogna indagare sulle crepe delle Istituzioni.
Cosa avrebbe pensato suo fratello Paolo di questo arresto se fosse ancora in vita?
Lui era un uomo dello Stato, sarebbe stato soddisfatto, sicuramente. Anche lui, però, avrebbe pensato che trent’anni sono un tempo interminabile. Fino a qualche giorno fa io mi svegliavo ogni mattina col pensiero che mio fratello non ci fosse più, mentre lui si trovasse ancora in libertà. Purtroppo non sono troppo fiducioso per ciò che potrà succedere, non credo che collaborerà con la giustizia. Ciò che testimonia questo è, ad esempio, l’udienza Borsellino quater, alla quale lui non si è presentato, lasciando la sedia vuota. Anche quello è un messaggio: continuerà a non parlare.