Morte in silenzio

Morto dopo il trasferimento da un carcere all'altro: che è successo a Piscitelli?

Una nipote cerca risposte e giustizia per la morte del 40enne. Due lettere intanto raccontano una versione ben diversa da quella riferita dalla Polizia Penitenziaria

Morto dopo il trasferimento da un carcere all'altro: che è successo a Piscitelli?
Pubblicato:
Aggiornato:

Due lettere inviate dal carcere di Modena riaccendono i riflettori sulla morte di Salvatore Cuono Piscitelli, 40enne residente a Saronno e finito in carcere per aver tentato di usare una carta di credito rubata. Detenuto morto tra l'8 e il 9 marzo, quando venne caricato con altri 40 a seguito delle rivolte che distrussero il carcere modenese.

Piscitelli, si riapre il caso

Un periodo di rivolte nelle carceri di tutt'Italia, spinte dall'emergenza coronavirus e dalla paura che nelle strutture detentive, dove il sovraffollamento è ormai la regola e i dispositivi di protezione erano ormai un miraggio, conclusosi con un bilancio di 13 morti. Tra questi, anche Salvatore Cuono Piscitelli, deceduto poche ore dopo essere partito dal carcere di Modena, teatro di una delle tante rivolte, e poco dopo l'arrivo nella struttura di Ascoli Piceno. Le autorità carcerarie registrano la morte come da overdose di metadone e farmaci, sostanze che i detenuti avevano rubato in quantità durante le rivolte, apparentemente (come rilevano gli avvocati dei famigliari delle vittime) senza trovare molta resistenza. Due lettere, anonime, inviate dal carcere all'Agi e a GiustiziaMi riaprono il caso del 40enne residente a Saronno e degli altri deceduti in quei giorni su cui le procure indagano per "omicidio colposo plurimo" e "morte in conseguenza di altro reato".

Botte, violenza e mancate visite mediche

La Polizia Penitenziaria presidia i cancelli del carcere Sant'Anna a Modena. 09 Marzo 2020. ANSA / ELISABETTA BARACCHI

Nelle due lettere viene tratteggiata una versione molto diversa da quella "ufficiale" della Polizia Penitenziaria. Una versione fatta di botte, di manganellate.

"A me dispiace molto per quello che è successo - riporta l'Agi da una delle due lettere - Io non c’entravo niente. Ho avuto paura…Ci hanno messo in una saletta dove non c’erano le telecamere. Amatavano la gente con botte, manganelli, calci e pugni. A me e a un’altra persona ci hanno spogliati del tutto. Ci hanno colpito alle costole. Un rappresentante delle forze dell’ordine, quando ci siamo consegnati, ha dato la sua parola che non picchiava nessuno. Poi non l’ha mantenuta".

Violenze che sarebbero continuate anche sul pullman che ha trasportato Piscitelli e gli altri detenuti ad Ascoli e poi nel carcere: "Sasà stava malissimo e sul bus lo hanno picchiato, quando è arrivato non riusciva a camminare. Era nella cella 52, ho visto che nessuno lo ha aiutato", scrive uno dei detenuti arrivato con lui ad Ascoli, che poi aggiunge:

"Anche qua veniva la squadra. Come aprivi bocca per chiedere qualcosa, prendevi delle botte. Ci mettevano con la faccia al muro. Venivano a picchiare col passamontagna, per non far riconoscere le facce".

E poi c'è il nodo delle visite mediche, che secondo i detenuti non sarebbero state fatte nè alla partenza da Modena nè all'arrivo ad Ascoli. Una negligenza che se confermata, come sembrerebbe dall'informativa in Parlamento dell'allora Capo Dipartimento della Giustizia Amministrativa Francesco Basentini in cui non si fa cenno ad alcuna visita medica, sarebbe doppiamente grave: da una parte perchè si era in piena emergenza coronavirus, dall'altra perchè se Piscitelli e gli altri detenuti decessi avevano assunto sostanze tali da ucciderli si sarebbe notato e loro, oggi, sarebbero vivi. E' quello che ritiene anche una nipote del 40enne, che ora sta cercando di far luce sulla sua morte per vie legali. Le informazioni sono poche ma è difficile pensare che la dottoressa in servizio durante le rivolte nel carcere modenese, fortemente in stato di shock, abbia eseguito le visite subito dopo che queste erano state sedate. E all'arrivo all'ospedale di Ascoli, l'uomo non avrebbe presentato nè ferite nè segni di intossicazione. Fonti interne al carcere, riportate da GiustiziaMi, assicurano però che le visite "sono state fatte a tutti, magari in modo diverso dal solito e per questo non percepite come tali dai detenuti". Ma allora perchè non ne fa cenno il Capo Dipartimento?

"Nessuna violenza gratuita"

morto dopo il trasferimento da un carcere all'altro

Dall'altra parte della vicenda ci sono gli agenti della Polizia Penitenziaria, accusati di violenze, pestaggi e negligenze in quei giorni di rivolte e tensioni. Gennarino De Fazio, segretario nazionale Uilpa, rigetta le accuse e spiega all'Agi che "parliamo di un istituto penitenziario incendiato e devastato, sono stati divelti cancelli e tentata un’evasione di massa. Immagino ci siano state delle perquisizioni accurate perché alcuni avevano armi rudimentali od oggetti da taglio e che quindi si sia dovuto ricorrere anche al denudamento di qualche detenuto. Un carcere col 152% di sovraffollamento, la capienza regolamentare è di 369 detenuti, ce n’erano 560 in quel momento. Solo questa segna il livello di accuratezza della gestione all’interno del penitenziario. In quel contesto, se c’è stata violenza la possiamo definire ‘legittima’ perché serviva per ripristinare l’ordine, evitare evasioni ed eventuali soprusi di detenuti sui loro compagni". Sempre all'agenzia comunque De Fazio riconosce che qualcosa non sia funzionato a dovere se i detenuti sono arrivati così facilmente all'infermeria: "Si aveva l’obbligo di rendere più sicure le infermerie? Non impedire la commissione di un reato, per il nostro codice penale, equivale a cagionarlo. Non è possibile che siano morte in questo modo 13 persone".

TORNA ALLA HOME

 

Seguici sui nostri canali