La testimonianza dell'assessore Michelon: «La prevenzione salva»
La vicesindaco racconta pubblicamente la sua esperienza: il nodulo sospetto scoperto alla visita annuale

La prevenzione «che salva la vita», ma anche il disagio per una sanità pubblica che salva davvero solo… quando diventa privata. Nel mezzo la routine dello screening al seno annuale – con una costanza che implica sempre uno sforzo – e che rivela quel nodulo sospetto, la decisione senza indugio di asportarlo e la condivisione di un’esperienza personale che diventa testimonianza di vita e di buone pratiche, laddove ci sono ancora tante resistenze.
La testimonianza dell'assessore Michelon
E’ quanto accaduto a Simona Michelon, 47anni, vicesindaco di Fagnano Olona con deleghe alla Pubblica istruzione e all’azienda servizi comunale, che ha voluto rendere pubblica la sua vicenda ancor prima del finale – l’esito della biopsia al nodulo asportato non è ancora noto – affinché fosse da esempio concreto e da incoraggiamento per tutte le donne, anche le più giovani. «Perché in sala operatoria ci vanno anche ragazze ventenni e trentenni, in ospedale vedi tante storie e fa impressione scoprire quanto presto si possano manifestare tumori – racconta – e perciò non bisogna pensare che la prevenzione riguardi solo chi ha una certa età». Michelon da dieci anni si sottopone alla visita senologica e questa volta era in ritardo: «Perché occorre sempre fermarsi e decidere che è il momento, anche se si pensa che sia solo routine e che non sia urgente. E così stavo lasciando passare il tempo. Poi la morte di Luca Re Sartù, il giovane che era alla Gmg con mio figlio, è stato un fatto così sconvolgente che mi ha obbligato a mettere al primo posto la vita. E quello stesso giorno ho preso l’appuntamento». Alla Mater Domini di Castellanza, proprio dove per alcuni giorni era stato ricoverato il ragazzo, prima di essere trasferito a Monza nei tentativi dei medici di salvarlo, purtroppo vani. «E questa volta la visita ha rilevato un nodulo, che dopo l’agoaspirato è stato classificato B3, ovvero sospetto, cioè non allarmante, ma neppure trascurabile».
L’intervento non era d’obbligo, si poteva temporeggiare
«Ma già sono interventista di mio, il chirurgo sperava lo fossi, mio marito mi ha subito sostenuta, incoraggiata, spinta: così ecco la decisione di operarmi per l’asportazione del nodulo». Dopo la quale Michelon – ancor prima di conoscere la natura, buona o cattiva, di quella piccola massa – ha reso pubblica la sua vicenda, con un post sulla sua pagina personale che ha suscitato una marea di commenti: «Tantissime mi hanno scritto privatamente, ho scoperto un enorme desiderio di condividere esperienze simili con chi si espone. Dovremmo raccontarci di più, ma spesso c’è una vergogna che blocca». L’operazione con breve ricovero è stata programmata nel giro di poche settimane, ma i tempi dettati dalla sanità pubblica davano un’attesa di 3 anni, data la classificazione solo sospetta del caso: «Credo molto nella sanità pubblica e ho dovuto farlo privatamente per salvarmi la vita. Mi sono vergognata, perché ho dovuto andare contro a ciò per cui devo combattere, ovvero una sanità che sia davvero per tutti. Se da una parte ho vissuto la diagnosi serenamente – anche perché nel mio caso c’è il supporto forte della fede, della famiglia e di una convinzione personale che malattia e morte siano comunque parte della vita – dall’altra c’è stato un disagio enorme nella modalità di accesso alla sanità. Credo sia tempo che i nostri governanti decidano da che parte stare e cosa vogliono fare da grandi».
"Non rimandiamo, facciamo prevenzione"
E poi l’appello a tutte: «Mettiamo da parte tutte quelle scuse per le quali rimandiamo la prevenzione, che poi rivelano tutta la loro infondatezza. Quella piccola paura nell’affrontare una visita è necessaria per salvarci la vita».