Ricerca e ambiente

Degradare la plastica? Ci pensa l'enzima "mangiaplastica" dell'Insubria

Il lavoro dell'Università dell'Insubria dimostra come sia possibile degradare la plastica in maniera biologica, senza bisogno di agenti chimici o ulteriore inquinamento

Degradare la plastica? Ci pensa l'enzima "mangiaplastica" dell'Insubria
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Prodotto nel laboratorio "The Protein Factory 2.0 dell'Università dell'Insubria un enzima in grado di "digerire" la plastica.

Enzima "mangiaplastica", dalla ricerca dell'Insubria un'arma per  l'ambiente

La plastica, lo sappiamo tutti, rappresenta un problema: una bottiglietta di plastica, ad esempio, impiega almeno 450 anni a biodegradarsi. E non sempre, specialmente in Paesi meno attenti al tema dei rifiuti, bottiglie e materiali in plastica vengono differenziati, finendo spesso nell'ambiente e abbandonati a se stessi e alle future generazioni, con danni ambientali e alle specie animali non indifferenti.

A questo, poi, si aggiunge il problema delle microplastiche: degradandosi "naturalmente", la plastica produce piccolissime particelle che disperse nell'ambiente finiscono nella catena alimentare. Col risultato che, gira e rigira, si finisce per ingerire insieme al proprio pasto anche una quantità di rifiuti.

Mentre produzione e consumo di plastiche procede a grandi volumi, anche per la difficoltà nel trovare nuovi materiali più "eco-friendly" a sostituzione, anche la ricerca avanza a grandi passi. E quella dell'Insubria ha prodotto degli enzimi in grado di degradare la plastica in breve tempo.

Ingegneria proteica per degradare la plastica

Il lavoro dell'Insubria rientra a pieno nel campo delle biotecnologie, nell'ottica della bioeconomia circolare che mira a individuare approcci green per eliminare e recuperare materiali inquinanti. In breve, è stato creato in laboratorio un "enzima mangiaplastica".

A spiegare nei dettagli il frutto dei ricercatori dell'Insubria è la stessa università:

"Una ricerca del laboratorio The Protein Factory 2.0 dell’Università dell’Insubria ha prodotto un biocatalizzatore (enzima) in grado di degradare il polietilene tereftalato (PET), una delle plastiche maggiormente usate - ad esempio le bottigliette di acqua - nei suoi componenti.

Il lavoro condotto da Valentina Pirillo con l’ausilio di Marco Orlando e Davide Tessaro (del Politecnico di Milano) e sotto la supervisione dei professori Gianluca Molla e Loredano Pollegioni, è consistito nel migliorare un enzima microbico (PETase) attraverso un approccio di ingegneria proteica. Utilizzando l’enzima così evoluto (chiamato TS-ΔIsPET), alla concentrazione di 0.1 mg/mL in acqua e a 50 °C, è stato possibile recuperare in 2 giorni oltre il 25% dei principali costituenti delle microparticelle di PET e, addirittura, depolimerizzare l’80% delle nanoparticelle di PET in solo 1 ora e utilizzando 5 volte meno enzima.

Questo lavoro dimostra come la degradazione biologica delle plastiche, un processo che non prevede l’uso di composti chimici e/o di alte temperature, sia ormai una realtà in grado di eliminare un composto inquinante convertendolo in materiali ancora utili".

Riferimento bibliografico:

Pirillo, V.; Orlando, M.; Tessaro, D.; Pollegioni, L.; Molla, G. An Efficient Protein Evolution Workflow for the Improvement of Bacterial PET Hydrolyzing Enzymes. Int. J. Mol. Sci. 2022, 23, 264 – LINK ALL’ARTICOLO

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