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In ufficio e a km 0: così il Covid ridisegna la pausa pranzo

L'emergenza coronavirus ha stravolto tanti aspetti della vita quotidiana. Anche la "schisceta"

In ufficio e a km 0: così il Covid ridisegna la pausa pranzo
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Pausa pranzo in ufficio e con attenzione al "km 0": è quanto emerge da un'indagine di Coldiretti sulle abitudini dei dipendenti durante questi mesi di emergenza Covid.

Pausa pranzo ai tempi del Covid: l'indagine di Coldiretti

Chi può torna a casa per il pranzo, ma la stragrande maggioranza (63%) pranza in ufficio o al lavoro. Senza rinunciare al "made in Varese", con la tradizionale gavetta,  o "schisceta", dove, a farla da padrone, sono i piatti più facilmente trasportabili e riscaldabili come la pasta fatta al forno, ma non mancano altri piatti autunnali a base di polenta o patate, da riscaldare.  Il quadro della "pausa pranzo al tempo del Covid" è delineato da un’indagine della Coldiretti provinciale: se la maggioranza dei dipendenti si porta il pranzo per consumarlo sul posto di lavoro a distanza di sicurezza dai colleghi, un altro 25% va a casa a mangiare mentre un 4% va a prenderlo d’asporto e un ulteriore 3% si fa consegnare il cibo direttamente in ufficio. Il restante 5% delle persone approfitta invece della mensa aziendale.  

Come gestisci la pausa pranzo al lavoro?        

  • Porto il cibo da casa                                              63%
  • Vado a casa a mangiare                                        25%
  • Compro il cibo da asporto                                      4%
  • Vado in mensa                                                          5%
  • Mi faccio consegnare il cibo in ufficio                 3%

Cambio di abitudini

Un cambio di abitudini alimentari spinto dalle nuove limitazioni che stravolgono la pausa pranzo dopo la chiusura di bar e ristoranti in provincia di Varese e in Lombardia; ma pesano anche i timori del contagio, la necessità di evitare assembramenti ma anche per risparmiare in un momento di incertezza economica.

Una tendenza che fotografa il momento di difficoltà vissuto dalla ristorazione con le limitazioni che hanno provocato un crack da 41 miliardi per l’intero 2020 stimato da Coldiretti su dati Ismea, a causa del drastico ridimensionamento dei consumi fuori casa provocati dall’emergenza coronavirus. A pesare infatti, sostiene la Coldiretti provinciale, non sono sole le chiusure obbligatorie e le limitazioni di orario ma anche il forte ridimensionamento della clientela durante la giornata per l’estensione dello smart working e il crollo del turismo.

Consumi extradomestici annullati dalla pandemia

"A causa della pandemia – sottolinea il presidente di Coldiretti Varese Fernando Fiori - i consumi extradomestici per colazioni, pranzi e cene fuori casa si sono di fatto annullati, con un drammatico effetto negativo a valanga sull’intera filiera agroalimentare prealpina per mancati acquisti di cibi e bevande, dalla carne ai formaggi, ai salumi, dalla frutta alla verdura, peraltro accentuati dal crollo dei visitatori in un comprensorio, il nostro, dove il turismo ha un ruolo determinante".

Crollo dei consumi

Ma a soffrire è l’intero comparto nazionale: la spesa degli italiani per pranzi, cene, aperitivi e colazioni fuori casa prima dell’emergenza coronavirus, sottolinea Coldiretti Varese, era pari al 35% del totale dei consumi alimentari degli italiani per un totale di 85 miliardi di euro. Nell’attività di ristorazione sono coinvolte circa 330mila tra bar, mense e ristoranti lungo la Penisola ma anche 70mila industrie alimentari e 740mila aziende agricole lungo la filiera impegnate a garantire le forniture per un totale di 3,8 milioni di posti di lavoro.

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