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Dal treno deragliato, al focolaio e poi in tutta la Lombardia: inquietante filo rosso

Quell'evento potrebbe spiegare come da Codogno e dal Lodigiano il virus si sia diffuso così in fretta in tutta la Lombardia

Dal treno deragliato, al focolaio e poi in tutta la Lombardia: inquietante filo rosso
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Sin dall'inizio dell'epidemia, quando il principale focolaio di coronavirus era il Lodigiano, ci si è chiesto come fosse possibile che da Codogno il virus si fosse diffuso così tanto e ovunque. E forse la risposta sta nel treno deragliato a febbraio.

Dal treno deragliato a un'epidemia nazionale

6 febbraio, il 19 febbraio, il 20 febbraio e il 20 marzo. Quattro date dove di concentrano i "nodi" principali del filo rosso seguito dai colleghi di Prima Lodi. Perchè se c'è una cosa che in tanti si chiedono da ormai oltre un mese è come sia possibile che da Codogno e dal Lodigiano si sia potuta sviluppare una catena di contagio arrivata rapidamente a tutto il nord Italia, s poi diffusasi al Centro-Sud.

Il 6 febbraio, un Frecciarossa deraglia mentre si trova nel Lodigiano. Due persone perdono la vita, 31 rimangono ferite e centinaia e centinaia tra soccorritori, tecnici, personale delle forze dell'ordine arrivano sul posto da tutta la Lombardia, così come i tecnici che saranno nei giorni successivi sul posto per smantellare la carcassa del treno.

Due settimane dopo, un 38enne a Codogno risulta positivo al tampone per il coronavirus, e scatta l'emergenza in tutt'Italia.

Autodichiarazioni e influenza stagionale

I casi iniziano ad aumentare in tutto il Lodigiano, stesso teatro del deragliamento, tanto che il 23 febbraio il primo Dpcm del Governo isola quelle zone e invita chi vi fosse passato dal 1 febbraio in poi a segnalarlo ala propria Ats. Non c'è però modo di sapere se tutti coloro che siano passati da lì lo abbiano poi dichiarato, ci si basa sulle autosegnalazioni. Nel frattempo però, non sono pochi membri delle forze dell'ordine e del mondo dei soccorsi che nemmeno una decina di giorni dopo l'incidente iniziano ad avvertire dolori muscolari, febbre, tosse, gola secca. Una normale influenza di stagione, dopotutto era il periodo di picco influenzale. Oggi l'attenzione e i controlli sarebbero stati ovviamente diversi.

La zona rossa

Intanto, militari e forse dell'ordine di tutto il Lodigiano già intervenuti per il deragliamento dopo l'istituzione delle zone rosse vengono chiamati a sorvegliarne i confini. E' un'emergenza, e l'attenzione su cosa potevano nascondere quei sintomi influenzali era ancora molto bassa, specie per chi veniva da fuori della zona rossa.

E alcuni di quei militari, poliziotti e carabinieri, negli ultimi giorni, hanno rivelato alla stampa della scarsità di mascherine tanto da doverlsele scambiare e condividere. e di come si fossero ritrovati a dover respingere fisicamente qualcuno che voleva uscire dall'area confinata.

Da Lodi fino alla Spagna, con "sosta" a Bergamo?

Manca una data da quelle ricordate all'inizio: quella del 19 febbraio. Un giorno prima del primo caso, dell'emergenza, della corsa ai decreti. Un mercoledì come tanti, di Champions League. A Milano, a San Siro, si gioca Atalanta-Valencia, sugli spalti ci sono decine di migliaia di tifosi italiani, soprattutto bergamaschi, e spagnoli. Tutto intorno, nei locali del post partita e nelle piazze e strade del pre, c'è Milano. Una "bomba biologica", la definiscono alcuni medici.  Dentro e fuori lo stadio, per la sicurezza, ci sono anche alcuni degli uomini che saranno poi di servizio ai check-point della zona rossa, e che prima erano stati sul luogo dell'incidente ferroviario.

Un mese dopo, il Bergamasco e la Spagna saranno le zone più colpite e martoriate dal coronavirus.

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